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“Anna e Marco” non possono andare in scena

Negata l’autorizzazione per lo spettacolo a Gabriele Carbotti

Chi non viene ricordato, muore due volte. E no, non stiamo parlando dei morti dei totalitarismi del ‘900, ad oggi ancora contesi dalle parti politiche che si fanno battaglia sulla pelle di chi la pelle ce l’ha rimessa anni fa. Stiamo parlando di un artista, un grande artista, scomparso due anni fa: Lucio Dalla. Lui, che ha cantato la vita, l’ha messa in musica, l’ha raccontata, l’ha sublimata, l’ha resa bellissima, con la capacità che solo i grandi artisti hanno. Lui, a cui Gabriele Carbotti voleva rendere omaggio.

Ma a modo suo, con una storia che andasse oltre i suoi testi, reinventandosi i personaggi delle sue canzoni, dando un volto (quello degli attori della sua compagnia, che si autoproduce) alle emozioni che proprio Gabriele Carbotti aveva vissuto e provato ascoltando Lucio Dalla. Gabriele Carbotti, trentenne attore di teatro, che avrebbe dovuto portare in scena il suo spettacolo: “Com’è profondo il mare: la vera storia di Anna e Marco”. Insieme a lui, sul palco, anche Ludovica Di Donato, Lorena Scintu, Ughetta D’Onorascenzo, Alessia Amendola, Andrea Dianetti, Paola Majano e Michele Botrugno.

Tutti loro, per un mese intero, si sono incontrati nelle sale del Teatro Petrolini per provare e riprovare, almeno 4 ore al giorno. Perché si fa presto a dire attore, si fa presto a dire spettacolo teatrale. Dietro un debutto c’è un lavoro di giorni, c’è la fatica, c’è l’impegno. Ma dietro uno spettacolo ci sono anche i tecnici, quelli delle luci, quelli della musica. C’è un teatro, che mette a disposizione la sua sala. E soprattutto c’è la dignità. La dignità di persone che ogni giorno sputano sangue per meritarsi un riconoscimento. La dignità di persone che lavorano, e che hanno deciso di lavorare per comunicare. A teatro, in questo caso. Un teatro che già vive di stenti, in questo Paese. Figurarsi se l’arte diventa vittima dei giochi di potere.

Giochi di potere, sì. L’arte ieri è stata vittima di giochi di potere. Ma procediamo con ordine. Gabriele Carbotti, come vi avevamo raccontato, aveva scritto un testo teatrale, ispirato ai testi di Lucio Dalla. Il testo, però, rispettando le regole dettate, non era affatto passibile di plagio. Ma gli eredi del grande maestro Dalla, non hanno digerito la cosa. Hanno richiesto il testo per leggerlo e studiarlo. E poi hanno chiesto di cambiare locandina dello spettacolo e comunicato dello stesso. Detto, fatto. Di notte – perché la comunicazione è arrivata nella notte tra il 10 e l’11 febbraio, a poche ore dal debutto – Enrica Quaranta, dell’Ufficio Stampa, aveva lavorato per rispondere alle richieste dello studio legale che rappresenta gli eredi di Dalla.

Il comunicato e la nuova locandina vengono inoltrati. Nessun problema, quindi. Fino alle 7 di sera, a due ore dal debutto. Arriva la chiamata: non si può andare in scena. Perché pur avendo cambiato il comunicato e la locandina, lo spettacolo e il testo – pur non essendo passibile di plagio – “per inerzia” aveva un richiamo a Lucio Dalla. “Non è un discorso economico, ci hanno detto, né un discorso di diritti”, ci spiega Gabriele. Fatto sta che gli eredi di Lucio Dalla hanno quindi deciso di non dare a Gabriele Carbotti, né ad altri, il diritto di utilizzare il nome del maestro. Eppure, ha detto Gabriele Carbotti, “a fronte di un errore oggettivo – che non c’è stato, ndr – avremmo cambiato tutto un mese fa”, per evitare quanto successo.

E non certo a due ore del debutto. Perché la tempistica evidenzia un ritardo sostanziale nella comunicazione del diniego. Perché, a saperlo un po’ prima, gli attori avrebbero salvaguardato il proprio lavoro, avrebbero lavorato ad un nuovo spettacolo, e avrebbero portato in scena quello. Ma, evidentemente, anche la tempistica è stata piegata alla volontà di chi ha deciso di non dare l’autorizzazione, in questo modo creando disagi: agli attori, al teatro, agli spettatori. Spettatori che sono accorsi al Petrolini e lì, hanno assistito a qualcosa decisamente fuori dagli schemi.

La compagnia, infatti, si è presentata sul palco e ha tenuto un discorso di qualche minuto, in cui si spiegavano le ragioni dell’annullamento dello spettacolo. Perché “non potevamo pensare di farvi credere che lo spettacolo non si facesse per la mancanza di un pezzo della scenografia” – hanno dichiarato sul palco. Perché non sarebbe stata la verità. Perché la verità è una sola: non è stato concesso alla compagnia teatrale di portare a termine il proprio lavoro, un lavoro di mesi. E – forse non potrei permettermelo, ma me lo permetto – non c’è stata alcuna forma di rispetto verso quegli otto attori, come persone e come professionisti. Né, forse, verso lo stesso Dalla. Che non avrebbe mai negato a nessuno il permesso di dare vita ad una forma d’arte, sotto qualunque forma si fosse presentata.

Lucio Dalla, che sicuramente ieri avrebbe apprezzato il discorso di quei ragazzi, tutti insieme sul palco. Che, ieri sera, con quelle poche parole, che raccontavano la verità, hanno messo in scena lo spettacolo più bello e più vero di sempre. Perché l’arte, la vera arte, non conosce i giochi di potere.

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