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A chi rifiliamo le buche di Roma? All’esercito. In nome dell’emergenza

Una tipica ‘disinvoltura’ della politica. Che nell’ansia di uscire dai suoi guai sorvola su tutto il resto

Sì, no, ancora sì. L’emendamento che vorrebbe utilizzare l’esercito per sistemare le buche delle strade di Roma appare e scompare. Con qualche variazione che serve a indorare la pillola, ma che non cambia un granché la sostanza: l’obiettivo di partenza era usare i militari per fare un lavoro che evidentemente militare non è, e a quello si continua a tendere.

L’accorgimento adottato, per riverniciare la proposta, è quello di appellarsi all’emergenza. Vale a dire: non è che vogliamo ridurre i soldati a operai (no, figurati) ma è che in queste specifiche circostanze (del tutto eccezionali, come no?) non abbiamo altra alternativa che invocare il loro aiuto. Come nel caso dei terremoti, o di altre catastrofi naturali. Come nel caso dell’ordine pubblico.

E siccome tra le tante specialità delle Forze Armate c’è anche quella del Genio, che provvede a ogni sorta di necessità logistiche e che perciò, all’occorrenza, traccia strade e costruisce ponti eccetera eccetera, pure la riparazione delle buche non è completamente estranea al loro operato.

Le buche di Roma: un casino, non un’emergenza

Giusto o sbagliato? Sbagliato.

Tanto per cambiare, l’errore è nel concetto di emergenza. Che di per sé riguarda gli eventi imprevedibili, di fronte ai quali bisogna trovare delle risposte immediate. E quindi anche anomale. Come dicevano i latini, ubi maior minor cessat. L’emergenza ci è cascata addosso senza che la potessimo evitare e dunque la dobbiamo fronteggiare con tutti i mezzi possibili e immaginabili. I ruoli precedenti non contano più. Conta solo il risultato. Si fa quello che serve. Si va dritti al sodo. Le circostanze sono eccezionali e le contromisure devono esserlo a loro volta.

Ma c’è un dettaglio. Grosso come una casa. Come un palazzo. Come il Campidoglio.

Le buche di Roma non si possono considerare un’emergenza perché, al contrario, sono un problema che si trascina da un sacco di tempo. Chiamare in causa l’esercito, affinché siano i suoi uomini a cavare le castagne dal fuoco, è almeno altrettanto fuori luogo che affibbiare lo stesso incarico agli impiegati del Comune. Visto che questi ultimi sono stati assunti per svolgere un lavoro amministrativo, di quello si devono occupare e non di altro. Visto che i soldati sono stati arruolati per svolgere attività di natura bellica, quand’anche di supporto alle operazioni prettamente operative, li si deve utilizzare in quella funzione e non in altre.

Pretendere di spostarli a piacimento in altri ambiti, che appartengono invece alla sfera civile, è una forzatura che non doveva nemmeno essere ipotizzata. Perché significa vederli come una massa di sfaccendati che sono lì a disposizione di qualsiasi autorità pubblica. Una semplificazione inaccettabile che è allo stesso tempo un arbitrio e un insulto.

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