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Ue della sanità, il Recovery Fund della von der Leyen è da ricovero

La presidentessa della Commissione Ue delinea le sue priorità, cioè la solita congerie di pagliacciate. Però fa asse col Premier Conte, che si sdebita subito col Recovery Plan

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Il Premier Giuseppe Conte e la Presidentessa della Commissione europea Ursula von der Leyen

Una Ue della sanità, una Ue antirazzista, una Ue verde e chi più ne ha più ne metta. È il festoso libro dei sogni (per lo più degli incubi, in realtà) sbandierato dalla presidentessa della Commissione europea Ursula von der Leyen. La quale, di fronte all’Europarlamento, ha tenuto il suo primo discorso sullo stato dell’Unione, toccando vari temi e delineando le sue priorità. Salute, clima e digitale su tutto.

La Ue della sanità

«Dobbiamo costruire un’Unione della Sanità» ha pomposamente affermato la politica tedesca. Tradotto dall’euroburocratese, significherebbe accentrare su Bruxelles una prerogativa esclusiva degli Stati membri come le politiche sulla salute. Una statalizzazione di memoria marxista, mutatis mutandis.

Questo, peraltro, è stato uno dei passaggi più intelligenti dell’arringa, oltre a quello sulla digitalizzazione. A cui, ha assicurato la von der Leyen, dovrà essere destinato almeno il 20% del Recovery Fund. E proprio sui fondi europei per la ripresa la pupilla della cancelliera teutonica Angela Merkel ha iniziato a uscire dal seminato.

«Il 37% del Next Generation Eu sarà speso per i nostri obiettivi del Green deal» ha dichiarato. Aggiungendo di voler «portare l’obiettivo per il 2030 di riduzione delle emissioni ad almeno il 55%», allo scopo di rendere l’Europa «il primo continente climaticamente neutro». Proposito risibile, visto che, come abbiamo già argomentato più volte, le attività dell’uomo hanno un impatto minimo sul clima. E verrebbe da ridere, se non ci fosse da piangere, al pensiero che l’economia dovrebbe essere posta al servizio di una gigantesca illusione collettiva.

Le pagliacciate, comunque, erano solo all’inizio. Quelle successive si possono riassumere tutte nello slogan, altrettanto ridicolo, «l’odio è odio». E unidirezionale, naturalmente, come da narrazione del pensiero unico mainstream.

E quindi via alle intemerate contro i cosiddetti hate crimes (e il loro incitamento) «di matrice razziale, di genere o di orientamento sessuale». Che stanno (quasi) solo nella sua testa, per fortuna, e per cui le attuali legislazioni nazionali bastano e avanzano.

Ma si sa che i paladini del politically correct si rifanno, almeno inconsciamente, alla scuola hegeliana. Per cui, «se la realtà non coincide con la teoria, tanto peggio per la realtà».

L’asse von der Leyen-Conte

Parte della filippica della von der Leyen è stata poi interpretata come una “benedizione” al bi-Premier Giuseppe Conte. A conferma che l’appeal elettorale del leader leghista Matteo Salvini non terrorizza solo il Governo rosso-giallo – e anche che Bruxelles continua ad avere problemi col voto popolare.

«Nel 2021 organizzeremo un vertice globale sulla sanità in Italia, per dimostrare che l’Europa c’è per proteggere i cittadini». Questo il primo annuncio, cui ha subito fatto eco il fu Avvocato del popolo. «Felice di ospitare il Global Health Summit con Ursula von der Leyen».

Poi il vero assist, sull’immigrazione. «Verrà abolito il regolamento di Dublino e sarà sostituito da un nuovo sistema» con una struttura comune per asili e rimpatri e un forte «meccanismo di solidarietà».

Quello irlandese è lo sciagurato trattato che ci riempie di clandestini che non possiamo redistribuire, eppure il suo eventuale superamento non sta sconvolgendo i buonisti. Che vi vedono un modo per «spuntare le unghie» al Capitano, il quale dal canto suo, al netto della cautela, ha espresso soddisfazione. «Sono anni che lo chiediamo».

Stessa reazione – incredibile dictu – di Giuseppi, che ha aggiunto che, «da parte nostra, siamo già predisposti a lavorare alla modifica dei Decreti Sicurezza». E sarebbe solo la prima cambiale da pagare alla numero uno della Commissione Ue. Le altre, il Signor Frattanto le ha sciorinate anticipando le linee guida sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – cioè il Recovery Plan.

Il documento tratteggia sei missioni, che poi sarebbero i paletti scritti sotto dettatura dell’Europa. Tra cui campeggiano, ça va sans dire, la «rivoluzione verde» e «l’equità sociale, di genere e territoriale». Che prevede tra l’altro il salario minimo, presente anche nel discorso sullo stato dell’Unione. Un pessimo stato, alla fine della fiera.

Oltre la Ue della sanità

Il problema vero – non finiremo mai di sottolinearlo – è a monte rispetto alla congerie di farneticazioni politicamente corrette raccomandateci dall’Unione Europea. La questione riguarda la sovranità e, di riflesso, la tutela comunitaria sugli Stati membri – il nostro, in primis.

Perché, parliamoci chiaro, circa 2/3 dei finanziamenti europei sono prestiti – 127,4 miliardi di euro su un totale di poco meno di 209. Quindi andranno restituiti, benché a tassi agevolati e con tempi piuttosto lunghi – aspetto che spiega benissimo perché il piano si chiami Next Generation Eu.

Ma, anche se fossero tutte sovvenzioni, resterebbe il fatto che l’Italia, fino a prova contraria, non è un Paese commissariato. E quindi è offensivo che Bruxelles si permetta anche solo di pensare di imporci i suoi diktat.

Peraltro, non è neppure detto che l’esecutivo non sceglierebbe di destinare comunque un terzo dei fondi alle eco-balle. O di accettare il «mutuo riconoscimento» tra Stati della genitorialità lgbt, che è un ossimoro ma anche una delle raccomandazioni “genderiste” dell’alta papavera.

Un conto, però, sarebbe deciderlo in totale autonomia. Tutt’altro è che un qualsiasi ente conceda un prestito condizionandone però la destinazione.

Piacerebbe a tutti avere la botte piena e la moglie ubriaca. Ma è una presa in giro, ancor più gargantuesca della fantomatica Ue della sanità e delle altre amenità. E, infatti, probabilmente non è un caso che quello della von der Leyen sia un Recovery Fund letteralmente da ricovero.

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