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Tutto sui derivati che costarono caro ai romani

Il Sindaco Alemanno ha consentito l’accesso agli atti a Marcello De Vito del MoVimento 5 Stelle

9 operazioni che sono costate 6 miliardi di euro al Comune di Roma tra il 2002 e il 2008.
Fu poi il Commissario straordinario al debito ad impugnare in mano la situazione: sono stati chiusi 7 di quei 9 contratti derivati stipulati, con una penale di circa 150 milioni di euro.

A diffondere la notizia, il candidato sindaco di Roma del MoVimento 5 Stelle, Marcello De Vito, che infatti riferisce: “il commissario nel 2008 prende in mano la situazione dei derivati. Ne trova 9, per un valore di circa 6 miliardi su 9 miliardi di debito consolidato, da guinness. Noi sappiamo che ne chiude 7 con una transazione con le banche che costa 150 milioni di euro di penale, danno diretto e immediato. Non sappiamo naturalmente l’esito delle transazioni. Non sappiamo quali contratti sono in piedi e quanti no, perché alcuni sono da 200 milioni altri da miliardi. E non sappiamo se questi due rimasti in piedi sono quelli vecchi o sono rinegoziazioni”.

Ma non è un segreto. Non è un “mistero buffo”, per dirla con Dario Fo.
Perché già Gianni Alemanno, attuale sindaco di Roma e candidato nelle liste di centrodestra alle prossime amministrative capitoline, aveva sollecitato la Magistratura e la Corte dei Conti ad indagare.
Alemanno lo chiama difetto di comunicazione. E ieri, durante l’evento ‘Roma Incontra-Ara Pacis’, ha informato che “la Corte dei Conti ha aperto un fascicolo e sta lavorando da un anno”.

Pochi giorni fa, comunque, è stato concesso a De Vito l’accesso parziale agli atti (il nuovo Statuto di Roma Capitale, che dovrà entrare in vigore, sancisce la trasparenza e la piena accessibilità agli atti).
La richiesta di De Vito era giunta un mese e mezzo fa, ed era stata indirizzata sia al Sindaco che al Commissario straordinario. Quest’ultimo, però, aveva ritenuto i richiedenti “non legittimati” ad ottenere la visualizzazione dei documenti; al contrario, Alemanno ha fornito i dati relativi al periodo in questione sotto l’egida di Walter Veltroni.

Ma cosa sono i contratti derivati?
Innanzitutto v’è da precisare che questa tipologia contrattuale non gode di buona fama nell’opinione pubblica, dal momento che i contratti derivati hanno causato gravissime perdite presso il pubblico e le imprese cui sono stati collocati, e sono stati oggetto di molti scandali finanziari.
Addirittura, molti considerano tali contratti tra le concause della crisi che affligge gli Stati Uniti e l’Europa.

La storia dei contratti derivati è antichissima.
Non si tratta, dunque, di una tipologia contrattuale di recente invenzione.
È però la loro diffusione che va rintracciata in età moderna, a partire dalla negoziazione al Royal Exchange di Londra di contratti forward, cui seguì la prima bolla speculativa relativa alla cosiddetta ‘mania dei tulipani’.

Ad ogni modo, si tratta di un istituto contrattuale, più precisamente di uno strumento finanziario, che ha conosciuto il suo sviluppo negli ordinamenti di common law. Nel nostro ordinamento manca una definizione di tale tipologia contrattuale, ma si legge nel TUF che questi contratti sono ricompresi tra gli strumenti finanziari. O meglio, sono contratti dai quali derivano strumenti finanziari.

Il contratto derivato è dunque un contratto che ‘insiste’ su elementi di altri negozi giuridici.

Inoltre, questi derivati, consentono di vedersi anticipate, al momento della stipula, alcune cedole positive, in denaro, che possono essere utilizzate e spese. Questo vantaggio, però – come spiegato in conferenza stampa da De Vito – può generare un ciclo continuo con ulteriori rinegoziazioni e contratti il cui tasso di interesse è molto elevato. Che, nel caso dei derivati del Comune di Roma, è pari al 5,37 %.

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