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Taglio parlamentari, via libera al referendum: urne più vicine?

La Cassazione avalla la consultazione, che si terrà tra marzo e giugno. Grandi manovre tra i partiti, guardando anche alle Regionali. E il Premier Conte trema

E proprio alla vigilia delle Regionali, l’attesissimo verdetto della Cassazione è finalmente arrivato: via libera, il referendum sul taglio dei parlamentari s’ha da fare, il quesito è conforme al dettato costituzionale e, pertanto, legittimo. Ora spetterà al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella stabilire la data della consultazione – che sarà priva di quorum -, con un suo decreto «su deliberazione del Consiglio dei Ministri».

Il Governo dovrà riunirsi in tal senso entro 60 giorni dal placet degli ermellini, e avrà poi un periodo compreso tra 50 e 70 giorni per decidere il giorno delle urne: il quale dovrà quindi necessariamente cadere tra la fine di marzo e il giugno prossimo.

Tale percorso potrebbe incrociarsi proprio con le imminenti elezioni – soprattutto quelle in Emilia-Romagna – e potrebbe risultare decisivo per le sorti del Conte-bis (a dispetto delle rodomontate del Presidente del Consiglio). I cittadini saranno infatti chiamati a esprimersi sulla riforma-bandiera del M5S, che riduce i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200 – e la conferma appare scontata.

Questo implica che per molti partiti – ma anche per parecchi parlamentari singoli – sia già scattata la corsa alla sopravvivenza (della poltrona). E probabilmente non è un caso che la richiesta di appello al popolo sia stata firmata da rappresentanti di tutte le forze politiche presenti a Palazzo Madama (compreso un esponente pentastellato), con la sola eccezione di FdI.

A questo punto, salgono in cattedra le strategie. Quella dell’opposizione di centro-destra è, per forza di cose, la più chiara e lineare, soprattutto nel caso – che gli addetti ai lavori ritengono molto probabile – di una vittoria nel fortino dell’Emilia-Romagna: richiesta di dimissioni immediate dell’esecutivo rosso-giallo e di elezioni politiche anticipate.

Molto più variegate sono le posizioni in seno alla maggioranza che sostiene il BisConte, anche per via dei rispettivi, recenti sviluppi. Il Pd, dato dal segretario Nicola Zingaretti in predicato di scioglimento, è attraversato da due forze, una centripeta e una centrifuga. La prima si riferisce allo spauracchio, più volte evocato dai dem, di consegnare il Paese alla Lega e al suo leader Matteo Salvini in caso di scioglimento precoce delle Camere: a conferma che la vocazione democratica del partito omonimo è tale solo se il popolo si esprime in accordo con i propri desiderata.

La spinta uguale e contraria potrebbe invece venire proprio dall’Emilia-Romagna: se infatti, dopo cinquant’anni di Governatori di sinistra, la Regione rossa per eccellenza dovesse voltare le spalle all’uscente Stefano Bonaccini per virare su Lucia Borgonzoni, difficilmente l’alleanza con i grillini potrebbe reggere – e, verosimilmente, verrebbe messa in discussione la stessa segreteria di Zingaretti.

Sulle Regionali, in ogni caso, da via del Nazareno hanno sempre ostentato sicurezza, anche perché la sfida tra piazze pare (perché non ci sono stime ufficiali) abbia visto prevalere quelle rosse. Il che comunque non sorprenderebbe, considerati i metodi, diciamo, eterodossi da sempre usati dal Pd (in qualsiasi denominazione, quindi anche ora che, vergognandosi di se stesso, si nasconde dietro una parvenza ittica) per moltiplicare il proprio pubblico: il problema atavico, per i dem, resta infatti quello delle urne vuote.

In evoluzione è anche la posizione di Italia Viva, che non ha mai fatto mistero di aver bisogno di tempo per consolidarsi: troppo forte è il rischio di vedere la propria pattuglia parlamentare decimata da un consenso che i sondaggi danno attualmente intorno alla soglia di sbarramento prevista dalla legge elettorale in lavorazione.

Si sa che Matteo Renzi, da sempre insofferente verso il bi-Premier Giuseppe Conte, auspica la sostituzione dell’ex Avvocato del popolo con una figura a lui più gradita, che gli garantisca una tranquilla prosecuzione della legislatura fino alla scadenza naturale: poiché però Giuseppi non sembra incline a ottemperare al suo progetto, l’ex Rottamatore potrebbe infine optare per l’eutanasia del Governo onde rimandare la sforbiciata degli eletti alla successiva legislatura – soprattutto se i tempi referendari dovessero dilatarsi.

In tal senso, potrebbe essere interesse di Palazzo Chigi indire la consultazione popolare il prima possibile, per chiudere in fretta la possibile finestra tentatoria. Anche se, per contro, l’allungamento della tempistica oltre l’estate porterebbe all’avvio della sessione di Bilancio, che potrebbe (il condizionale è d’obbligo, soprattutto dopo gli eventi della scorsa estate) blindare l’esecutivo almeno fino a fine anno.

In tutto ciò, occhio anche ai Cinque Stelle neo-orfani del capo politico Luigi Di Maio. Il suo successore Vito Crimi ha già annunciato continuità col lavoro di Giggino – che visti i grandi successi di quest’ultimo pare decisamente la scelta più saggia.

A ogni modo, il MoVimento non potrà mai agire né parlare contro la sua stessa ossessione anti-casta, ma paradossalmente è la forza politica che, stante il crollo paventato da tutti i sondaggi, ci rimetterebbe di più: perderebbe infatti (più o meno) la metà degli eletti se si designassero gli attuali mille parlamentari, cifra che crollerebbe drammaticamente se entrasse in vigore la famigerata riforma. Un nodo che prima o poi dovrà venire al pettine: e, nel segreto dell’urna, Dio ti vede, l’Elevato no.

*Foto dal sito del Governo

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