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Sospesi dal lavoro, Tar Sardegna respinge ricorso infermieri non vaccinati

Gli infermieri avevano chiesto l’annullamento delle sospensioni per non aver effettuato le vaccinazioni anti-Covid

Infermiere in servizio

Infermiere in servizio

Il Tar della Sardegna ha rigettato il ricorso di tre infermieri che erano stati sospesi dal lavoro, con decisione dell’Azienda per la tutela della salute, per inadempimento dell’obbligo vaccinale. I sanitari avevano chiesto l’annullamento delle sospensioni disposte dall’Ats per non aver effettuato le vaccinazioni anti-Covid, secondo quanto previsto dal decreto legge 44 del 2021.

Priorità alle informazioni dell’Aifa e Iss

“Per quanto attiene ai profili di carattere tecnico-scientifici delle censure sollevate – si legge nell’ordinanza pubblicata oggi – con le considerazioni sulla sicurezza e sull’efficacia dei vaccini contro il Covid che accompagnano pressoché tutti i motivi di ricorso, il Tribunale, in fase cautelare, può prendere solo sommariamente in considerazione i documenti -peraltro della più varia natura, provenienza ed attendibilità – depositati dalla ricorrente, tenuto anche conto che le censure investono una disciplina complessa nella quale deve essere data prevalenza alle informazioni ufficiali veicolate dalle competenti autorità pubbliche, nello specifico l’Agenzia italiana del Farmaco e l’Istituto superiore di Sanità”.

Sicurezza della campagna vaccinale

Come emerge dagli atti di causa, proseguono i giudici, “con la sottoposizione alla vaccinazione di gran parte della popolazione nazionale (39.072.107 persone, pari al 72,34% della popolazione di età superiore ai 12 anni, alla data dell’8.09.2021), nonché grazie alla diffusione capillare degli strumenti diagnostici, si è resa disponibile un’enorme mole di dati ed evidenze statistiche idonea ad evidenziare la sostanziale sicurezza, oltre che l’efficacia, della campagna vaccinale in corso”.

Non solo: per il Tar “è di valenza pubblicistica anche l’interesse a mitigare l’impatto degli effetti della pandemia sul Sistema sanitario nazionale,  in termini, soprattutto, di ricoveri e occupazione delle terapie intensive, che potrebbe comportare l’incontrollata diffusione della malattia da Covid-19 in capo a soggetti- quali gli operatori sanitari- naturalmente esposti, in misura maggiore rispetto alla media, al rischio di contagio”.

Per il bene della comunità

Pertanto, “come più volte affermato dalla giurisprudenza amministrativa e anche da questo Tribunale in analoghe vicende processuali, quanto al bilanciamento di interessi sotteso alla misura, la primaria rilevanza del bene giuridico protetto, cioè la salute collettiva, giustifica la temporanea compressione del diritto al lavoro del singolo che non voglia sottostare all’obbligo vaccinale: ogni libertà individuale trova infatti un limite nell’adempimento dei doveri solidaristici, imposti a ciascuno per il bene della comunità cui appartiene”.
(Api/ Dire) 

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