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“Sindaca? Non mi piace ma mi adeguo”

di Masssimo Persotti

"Sindaca? Non mi fa impazzire ma mi adeguo. Se volete chiamatemi pure Virginia". Così ieri Raggi, in Campidoglio per il suo insediamento, ha tagliato corto sul tormentone linguistico all'indomani del successo elettorale. Sindaco o sindaca?

"Sarò il sindaco di tutti", aveva puntalizzato appena eletta, facendo intendere che la 'questione di genere' non rappresentava certo una priorità della sua agenda. Tra debito, traffico, rifiuti e buche stradali – avrà pensato – ho ben altro di cui occuparmi. Ma Virginia Raggi è la prima donna a guidare Roma. E se pur non costituisce un tema capitale, il primo sindaco al femminile della capitale pone un problema linguistico.

Non è un caso che su Twitter, la presidente della Camera Laura Boldrini, da sempre molto attenta alla declinazione al femminile delle professioni, aveva subito augurato "buon lavoro alle sindache Virginia Raggi e Chiara Appendino", mentre il direttore di Repubblica Mario Calabresi postando un articolo del proprio quotidiano aveva scritto: "Occasione per aggiornare il vocabolario: noi lo abbiamo già fatto". Sul Corriere della Sera, Paolo Di Stefano aveva poi ammonito: "La vittoria politica sia anche una conquista di parità linguistica".

Come se non bastasse, ci si era messa anche la sua collega pentastellata di Torino Appendino, da subito molto chiara: "Preferisco sindaca".

Annosa questione, appesa sempre a questioni che attengono più ad aspetti idelogici che di correttezza linguistica. Se non addirittura di cacofonia, come se la ministra, l'avvocata, l'ingegnera o la notaia suonassero sgradevoli, così poco abituati a sentirli pronunciare.

E così, alla fine, Virginia Raggi ha dovuto cedere, quasi infastidita: "Su questo si è già espressa l'Accademia della Crusca dicendo che si deve dire 'la sindaca'. Non mi fa impazzire ma mi adeguerò".

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