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Sbarchi Ong in Italia: nessun reato per Salvini. Che non era tenuto a dire sì

La vicenda è quella della Alan Kurdi e a stabilirlo è stato il Tribunale dei ministri di Roma

No. Matteo Salvini non aveva poi tutti i torti, nel negare l’attracco alle navi delle Ong che dopo aver fatto il pieno di “migranti” in mezzo al mare reclamavano il diritto di sbarcarli qui in Italia. E non aveva nemmeno torto nel sostenere, sia pure nel suo linguaggio sbrigativo, che a doversene occupare fossero i Paesi di cui quelle imbarcazioni battevano bandiera.

Semplice: se la nave è tedesca, come nel caso della Alan Kurdi, si portino le persone salvate in Germania. Se è olandese, come nel caso della Sea Watch capitanata (sic) da Carola Rackete, si conducano in Olanda. E via di questo passo.

Doveroso: gli slanci umanitari vanno completati con l’assumersene in toto la responsabilità. Ivi inclusi gli oneri delle conseguenze pratiche. Troppo facile, altrimenti, fare il beau geste del salvataggio iniziale e poi scaricarne il peso su nazioni terze, che si erano ben guardate dal concedere il loro assenso. E che d’altronde non erano state nemmeno interpellate.

Con la scusa della solidarietà si va a interferire nella maniera più arbitraria, e più arrogante, con le scelte di governi legittimi. E quindi con la loro sovranità, che per quanto erosa dall’appartenenza alla UE e dall’adesione ad altri organismi internazionali conserva comunque un minimo di autonomia.

Salvini aveva rivendicato, ed esercitato, il sacrosanto diritto di non cedere al ricatto. Gli avversari politici, PD in testa (e stampa amica al fianco), lo avevano additato al pubblico ludibrio, arrivando non solo a sollecitare l’intervento della magistratura penale ma anche a dare pressoché per scontata la condanna, qualora si fosse arrivati a un giudizio formale.

Viceversa, almeno per quanto riguarda la vicenda della succitata Alan Kurdi, l’esito è completamente diverso. Il 21 novembre scorso il Tribunale dei ministri di Roma ha archiviato le ipotesi di reato.

Ora sono disponibili anche le motivazioni. Ben riassunte da Giovanni Bianconi nel suo articolo pubblicato oggi sul Corriere della Sera e riportato anche nell’edizione online. Il titolo, di esemplare chiarezza, sintetizza così: “I giudici scagionano Salvini: «Le Ong sbarchino nel loro Paese»”.

Leggi confuse, trattati-capestro

Uno squarcio di buon senso, l’archiviazione. Ma allo stesso tempo la conferma che in quest’ambito, delicatissimo, la confusione regna sovrana. A cominciare dalle contraddizioni esistenti tra le leggi nazionali e i trattati internazionali. E dalle contrapposizioni, innegabili, tra la necessità italiana di tutelarsi e la pretesa altrui di imporci la loro visione e i loro obiettivi.

L’involucro (il packaging) è la fanfaluca dell’accoglienza. Il miscuglio di buonismo apparente e di cinismo sostanziale che rovescia sulle popolazioni gli effetti di una convivenza mal assortita e quindi di per sé sbagliata. Tanto più sbagliata, e insopportabile, quanto più aumentano i numeri degli arrivi indesiderati.

Qui in Italia gli stranieri, compresi gli africani, non sono mai stati un problema fino a quando si è trattato di singoli individui, o eventualmente di singole famiglie: l’incremento forsennato delle cifre ha cambiato la natura del fenomeno. E come è naturale ne ha cambiato la percezione da parte di quella gran quantità di cittadini che non vogliono essere costretti a cambiare il proprio modo di pensare e di vivere. Finendo impelagati in una ragnatela sempre più vasta di limitazioni, allo scopo di non offendere i convincimenti di chi proviene da culture assai diverse. O addirittura incompatibili.

Le Ong si trincerano dietro all’umanitarismo e all’obbligo morale di soccorrere chi abbia fatto naufragio, o rischi di farlo. Lo slogan ricorrente è “Salvare vite non è reato”. Peccato che però sia ingannevole, visto che si ferma alla prima inquadratura e nasconde ciò che accade in seguito: la presa in carico da parte di uno Stato che, come l’Italia, ha ottimi motivi per non volersi sobbarcare altri costi e altri problemi.

Certo: il salvataggio in sé non è reato. Ma la violazione delle leggi interne di uno Stato lo è eccome.

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