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Roma. Vicenda Baobab: la maledetta pseudo logica del fatto compiuto

Due sgomberi in successione. E gli attivisti si lamentano così: “Queste persone non possono sparire”

Sembra un gioco a rimpiattino: i “migranti” (abituiamoci a mettere il termine tra virgolette, perché altrimenti tutti gli stranieri che arrivano in Italia vengono posti sul medesimo piano e presentati nella luce, positiva, dei poveri cristi che hanno diritto a stare qua) si piazzano in un certo luogo, la polizia li sgombera, e loro si sistemano da un’altra parte. Magari, come in questo caso, a breve distanza.

La vicenda specifica è quella dell’ex presidio Baobab, che stava a piazzale Maslax, nei pressi della stazione Tiburtina, e che dopo l’intervento della settimana scorsa si sono spostati a piazzale Spadolini. Vicino all’ingresso laterale della stessa stazione. Circa una cinquantina e con tre tende. In piena evidenza.

Le autorità, ovviamente, sono intervenute di nuovo. E li hanno allontanati anche da lì. Suscitando le altrettanto ovvie proteste degli attivisti che li stanno assistendo. Andrea Costa, coordinatore di Baobab Experience, azzarda l’arringa e sembra convinto di avere dalla sua delle ragioni inoppugnabili: “Non si sa dove devono andare. Questa è la dimostrazione che lo sgombero di piazzale Maslax non serviva a nulla. Queste persone non possono sparire”.

Dieci, cento, troppi Baobab: quelli del ‘fatto compiuto’

Ma il punto è proprio questo: se “non possono sparire” è perché ormai sono qui. Perché non si è fatto il necessario affinché non ci fossero.

Per troppo tempo  – e con una potente accelerazione negli ultimi anni – un certo mondo che si riempie la bocca di diritti civili e solidarietà internazionalista e umanitarismo globale ha puntato sulla logica del fatto compiuto. I clandestini che arrivano a frotte e poi… beh, ormai sono qui. I genitori gay, o non gay, che vanno a comprarsi un figlio con il metodo, ignobile, dell’utero in affitto e poi… beh, ormai il bambino c’è. Le donne anziane, vedi la vicenda di pochi giorni fa con la neo mamma di 62 anni, che vanno a fare l’inseminazione artificiale all’estero, dove è consentito ciò che qui in Italia è vietato, e poi rientrano in patria e… beh, ormai sono incinta.

Se si trattasse di merci, parleremmo senza esitare di contrabbando. Se fossero capitali, di traffici valutari da perseguire. Aprendo l’ombrello, o il tendone da circo, dei succitati diritti civili, si pretende che invece vada tutto bene: la disperazione dei migranti, l’amore dei genitori arcobaleno, il desiderio di maternità delle mamme-nonne, e chissà che altro.

La verità è che così facendo importiamo illegalità. E siccome ne abbiamo già più che a sufficienza della nostra, bisognerebbe finirla prima di subito.

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