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Politica, dall’assoluzione di Trump arriva una lezione anche per il Pd italiano

Com’era ovvio, non passa l’impeachment contro il Presidente U.S.A. a conferma che il tentativo di rovesciare gli esiti elettorali per via giudiziaria non paga mai

tribunale

«Gli avversari politici si sconfiggono con la politica» ha sentenziato qualche settimana fa Nicola Zingaretti. Il segretario del Pd ce l’aveva con il leader leghista Matteo Salvini, anche se uno specchio sarebbe stato più appropriato.

In ogni tempo e a ogni latitudine, infatti, è il Partito Democratico (nelle sue varie accezioni nazionali) ad avere il monopolio della pratica di servirsi di vie, diciamo, alternative a quelle democratiche per sovvertire gli esiti delle urne quando questi lo vedono democraticamente sconfitto. Circostanza che si verifica in maniera sempre più costante, senza che ci si decida a imparare la lezione – a Roma come a Washington.

In tal senso, è emblematica la pantomima messa in scena negli U.S.A. dal partito dell’Asinello sulla «bufala dell’impeachment» contro il Presidente Donald Trump (cui appartiene il copyright dell’epiteto). Un autogol senza precedenti, per tutta una serie di motivi.

Il primo è il fatto che l’assoluzione del tycoon era scontata, dal momento che sarebbero serviti 67 senatori quando la Camera Alta è controllata dai Repubblicani: tra cui, alla fine, si è registrata una sola defezione, quella dell’ex candidato alle presidenziali Mitt Romney, e solo per un’accusa – quella di abuso di potere, non quella di aver ostacolato la giustizia.

C’era poi il dato Gallup secondo cui la maggioranza degli Americani era favorevole al proscioglimento di The Donald, che fa il paio con la rilevazione della sua popolarità, mai così alta: soprattutto in riferimento a due settori chiave quali la politica estera (con il raid che ha tolto di mezzo un terrorista come il generale iraniano Qasem Soleimani) e la politica economica (in cui Mr. President ha il gradimento più alto degli ultimi vent’anni circa).

“En passant, i Democratici avevano anche dovuto ingoiare la figuraccia dei caucus in Iowa, uno Stato che ha un numero di abitanti appena superiore alla sola Roma, dove ci sono voluti quattro giorni per designare il vincitore delle primarie: il viatico ideale per governare una Nazione (e che Nazione!)”.

A monte, però, c’era qualcos’altro: il rifiuto di fare autocritica su una visione politica che gli elettori, volenti o nolenti, continuano a punire – diacronicamente e diatopicamente.

Un aspetto che anche in via del Nazareno continuano a ignorare, salvo poi dover fare i conti con la realtà ogni volta che il popolo ha facoltà di esprimersi. Salvo che, ovviamente, non si esprima secondo i desiderata dei caporioni, come avvenuto ad esempio in Emilia-Romagna: dove la vittoria di Stefano Bonaccini è stata salutata con inni e fanfare quando era solo il minimo indispensabile, che nulla toglie alla crisi profonda in cui versa il partito zingarettiano: crisi che è di idee, prima ancora che di voti (i quali sono del resto il riflesso delle prime).

Non è un caso che il Governo Conte-bis sia nato sul terrore che gli elettori consegnassero Palazzo Chigi allo spauracchio Salvini. E, visto che il consenso di quest’ultimo non accenna(va) a diminuire, ecco che è rispuntata l’avita via giudiziaria, nello specifico in relazione a casi come quello della nave Gregoretti.

Una strategia che rischia di trasformarsi nell’ennesimo boomerang, visto che gli Italiani, sul tema immigrazione, sono decisamente schierati sulle posizioni della Lega. Cosa che i dem sanno benissimo, al punto che, nell’imminenza delle Regionali, hanno preferito lasciare 400 migranti a bordo della Ocean Viking onde evitare contraccolpi: facendoli poi sbarcare dopo quattro giorni, guarda caso a risultato emiliano acquisito.

Eppure, questa serie (quasi) infinita di sconfitte qualcosa dovrebbe insegnare ai vari Partiti Democratici, autentici o nostrani che siano: per esempio, che il tentativo di usare il tintinnar di manette come una clava contro il successo altrui è perdente esattamente quanto quelle tornate elettorali che ne sanciscono, sistematicamente, la disfatta.

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