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Pantaloni “cavallo basso”, sono illegali (oltre che orribili) | Scattano le multe severissime per chi viene beccato con questo indumento

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I pantaloni a cavallo basso sono stati classificati come indumenti vietati, con controlli serrati e sanzioni durissime per chi viene sorpreso a indossarli.

Il dibattito sull’abbigliamento in Corea del Nord raggiunge un nuovo picco con la stretta decisa dal regime su uno dei capi più diffusi tra i giovani: i pantaloni a cavallo basso. Considerati simbolo di uno stile occidentale giudicato inadatto, questo tipo di indumento entra ora nel mirino delle autorità, che ne vietano l’uso e impongono una linea estetica completamente controllata dallo Stato. È una decisione che, come spesso accade nel Paese, non riguarda solo la moda ma assume un valore politico e culturale.

Il regime ha da sempre un controllo ferreo sull’abbigliamento, ritenuto uno degli strumenti principali per mantenere coesione e disciplina sociale. L’arrivo di tendenze provenienti dall’estero, soprattutto da Corea del Sud e Stati Uniti, viene percepito come una minaccia ideologica da contenere con norme rigide e controlli capillari. I pantaloni a cavallo basso, entrati in Corea del Nord attraverso smuggler, immagini televisive e social clandestini, rappresentano per il governo un simbolo di un modello culturale “deviante”.

Cosa succede a chi viene sorpreso a indossarli

Il provvedimento vieta l’uso dei pantaloni a cavallo basso in qualsiasi luogo pubblico e conferisce alle pattuglie civili l’autorità di fermare chiunque non rispetti gli standard imposti. Le sanzioni possono essere pesanti, andando da multe consistenti fino a punizioni correttive, che includono corsi obbligatori di rieducazione sul comportamento e sull’abbigliamento “socialmente appropriato”. Le autorità locali hanno intensificato i controlli nelle strade, nelle scuole e nei luoghi di lavoro, introducendo vere e proprie ispezioni mirate.

Per molti cittadini, soprattutto giovani, questo ulteriore irrigidimento si traduce in una continua sensazione di sorveglianza. Indossare un capo che altrove verrebbe considerato semplicemente un segno di individualità diventa un rischio concreto. Il regime punta così a prevenire qualsiasi forma di espressione personale che possa suggerire una distanza dagli ideali del Paese o un’ammirazione verso modelli culturali esterni. L’obiettivo è chiaro: evitare che la moda diventi un terreno di identità alternativa.

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Perché il regime teme questo indumento più di altri

La scelta di colpire proprio i pantaloni a cavallo basso riflette il timore che la diffusione di certi stili possa indebolire il controllo culturale dello Stato. Questi capi sono associati, nella narrativa nordcoreana ufficiale, a una cultura giovanile “ribelle”, disordinata e influenzata dall’Occidente. La loro semplice diffusione — seppur minima — è vista come un segnale che il confine ideologico potrebbe indebolirsi, portando con sé stili di vita non allineati al modello di riferimento nazionale.

Il provvedimento, però, ha un effetto contrario su alcune fasce di popolazione, in particolare tra i giovani che vivono nelle aree vicine ai confini o che hanno accesso a media stranieri. Per loro, ogni divieto sembra alimentare ulteriormente il fascino degli stili proibiti. Tuttavia, la paura delle sanzioni — spesso severe — frena quasi sempre qualsiasi tentativo di sfida aperta, mantenendo il controllo del regime e scoraggiando la diffusione del capo.

Il caso dei pantaloni a cavallo basso non è isolato, ma rappresenta un tassello in una strategia più ampia con cui la Corea del Nord cerca di limitare infiltrazioni culturali dall’esterno. In un mondo in cui la moda è anche espressione di libertà personale, il divieto imposto a un semplice paio di pantaloni racconta molto più di una questione estetica. Rivela un Paese che usa anche l’abbigliamento come strumento politico, tracciando confini rigidi tra ciò che è accettabile e ciò che è proibito.