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Omicidio del Gianicolo, un’associazione ricorda Carlo Macro

Presentata l’Associazione Carlo Macro, Cultura per la Legalità’

Carlo Macro era un trentenne romano. Un trentenne come tanti. A cui però la vita l’hanno stroncata. Era il 17 febbraio quando un 57enne indiano gli piantava un cacciavite in petto, uccidendolo praticamente sul colpo. Carlo si era macchiato della colpa di essersi appostato con la macchina vicino alla roulotte dove l’indiano dimorava, con la radio della macchina accesa. E questo, a Carlo, è costato la vita.

A più di due mesi di distanza, i familiari e gli amici di Carlo decidono di dar vita ad un’associazione. ‘Carlo Macro – Cultura per la Legalità’ – questo il nome. Perché la sicurezza va a braccetto con la legalità. La presentazione alla stampa è avvenuta questa mattina, proprio nella strada dove Carlo è morto, in via Garibaldi 27, al Gianicolo.

Tanta la rabbia e la delusione. Verso le istituzioni, che hanno permesso tutto questo. Verso il sindaco, accusato dalla mamma di Carlo, Giuliana Bramonti, di non essersi mai pronunciato sulla sua morte. Verso il prefetto che, sempre secondo quanto riferisce la mamma, ha addirittura accusato la vittima di essere un maleducato.

Per prima cosa, l’associazione ha indetto una petizione, per fare qualcosa di propositivo. Disponibile tra qualche giorno su Change.org, la petizione chiede al sindaco Marino di pronunciarsi sulla vicenda, riconoscendo le responsabilità dell’amministrazione o, in alternativa, di costituirsi parte civile nel processo che vedrà coinvolto l’omicida. Si chiede anche che venga piantato un albero sotto l’abitazione di Carlo, per ricordare la bellezza della sua personalità.

All’evento, presenti anche il consigliere di Roma Capitale Orlando Corsetti, il consigliere del Municipio XII, Marco Giudici, e il consigliere regionale Fabrizio Santori, che da tempo portano all’attenzione dell’opinione pubblica la questione legata all’abusivismo delle roulotte sul territorio romano. Tanto che, come riferisce anche lo zio di Carlo, la roulotte in cui dimorava l’indiano non aveva targa né assicurazione.

Tutto questo, è finito anche in un dossier, che oggi è stato rilasciato alla stampa. “Dai dati che abbiamo reperito al catasto – dichiarano Santori e Giudici – la comunità di S. Egidio possiederebbe 52 immobili. Solo una parte di questi sarebbero stati adibiti ad attività sociali. Della maggior parte non se ne conosce la destinazione ed in una parte abitano persone tutt'altro che indigenti: dirigenti della comunità e professori universitari”.  

Il dossier sarà consegnato alla Procura di Roma, “comprensivo dell'inquietante audio in cui due senzatetto raccontano come in passato venne loro offerta un roulotte in cambio di denaro. Sarà la stessa Procura, che già ci ha dato ragione aprendo un'inchiesta per abuso edilizio, invasione di terreni e deturpamento e imbrattamento di cose altrui, ad accertare la fondatezza di quelle registrazioni”. 

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