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L’anomala avventura di Silvia Romano e il riscatto che finanzia i briganti

L’anomala avventura di Silvia Romano, una vicenda al di fuori dei comuni schemi mentali e di ogni elementare criterio di ragionevolezza

Silvia Romano

Silvia Romano

Silvia Romano, il suo caso ha soltanto un aspetto che non è più da considerare anomalo: il pagamento di un riscatto da parte della collettività italiana. Per un sequestro di persona finalizzato al finanziamento militare di marginali bande brigantesche, orientate a disseminare nuovo terrore e azioni di guerra. Per l’ennesima volta si pensa, con comprensibile senso di umanità ma anche con miope unilateralità, alla sorte del sequestrato, non sempre incolpevole. Non riflettiamo sul pessimo servigio politico, militare e morale che cedendo al ricatto si compie a futuro danno di altre persone incolpevoli, della pace e dell’intera comunità mondiale. E ora poniamoci, su certe anomalie, una serie di interrogativi che proprio questo caso suscita e pone in particolare risalto. Data la capacità delle organizzazioni terroristiche di sequestrare contemporaneamente centinaia di Italiani in ogni parte del mondo, qualora si arrivasse a questo, dovremmo stanziare qualche miliardo di Euro?

Gli interrogativi sul sequestro di Silvia Romano

E’ ragionevole che certe persone si espongano a comprovate situazioni di rischio in ambienti privi di ogni minimo standard di sicurezza?

E’ ragionevole non responsabilizzare anche finanziariamente il Paese beneficiario degli interventi di cooperazione?

E’ ragionevole avvolgere in un’aura di “eroismo” persone e comportamenti coinvolti in una semplice e squallida dimensione ricattuale di do ut des?

E’ ragionevole esibire sorrisi smaglianti e garrula allegria da parte dell’ex sequestrato? Per il motivo che è stato trattato bene, ovviamente e cinicamente, solo per garantirsi il riscatto?

E’ ragionevole convertirsi proprio alla stessa fede jihadista che legittima l’agire delittuoso dei sequestratori?

Il tifo pro e contro il pagamento del riscatto

Allo sciocco entusiasmo solidaristico di certe voci e forze politiche iper-umanitarie si contrappongono i pregiudizi beceri di altre forze. Ma a proposito di queste ultime, se da un lato è complessivamente fondato sostenere che sarebbe meglio aiutare le comunità più deboli “a casa loro”, il caso qui in esame dimostra con chiarezza che questo criterio generico può non funzionare affatto, e che l’aiuto “a casa loro” non può prescindere da una complessa e costosa predisposizione di condizioni strutturali, mezzi e dispositivi di proficuo intervento e di sicurezza tutt’altro che agevoli da realizzare.

Un criterio di intervento praticabile potrebbe comprendere, fra l’altro, un congruo addestramento preliminare di numerosi cittadini dei Paesi poveri. I quali poi, andrebbero decorosamente retribuiti da Organismi internazionali. E in collaborazione con pochi e poco esposti operatori dei Paesi sviluppati cooperanti, realizzino nei loro Paesi le azioni e le opere più idonee per un tempestivo sviluppo economico e culturale.

*Articolo curato da Gaetano Arezzo.

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