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“La doppia vita di Sabato e Domenico” al Teatro delle Muse

E’ cinico oltreché immorale attendere il momento propizio per ricomparire impunemente al culmine del dolore dei propri cari

Dal 25 febbraio al 20 marzo 2016 la Compagnia stabile del teatro delle Muse mette in scena ‘La doppia vita di Sabato e Domenico’, godibile inedito spettacolo scritto e diretto da Geppi di Stasio, protagonista, nel ruolo di Sabato, di una finta morte e superstite scampato ad una vera sciagura aerea insieme a Domenico, il compare di burla interpretato da Rino Santoro. La tempestiva sostituzione del mezzo di trasporto è provvidenziale e li salva dalla catastrofe ma il destino è in agguato e non concede sotterfugi né altri cambi dell’ultim’ora.

Scopo dell’ affare sarà appunto quello di far rivalutare post mortem, da parte degli enigmatici parenti e affini, la loro immagine sbiadita, complice la comprensibile emozione della triste circostanza. Coadiuvati nel loro piano da due accomodanti e disinvolti faccendieri, dovranno fare i conti con le impreviste conseguenze che un proposito tanto ardito provocherà nell’animo e nella mente delle persone abbandonate con disonore allo sconforto.

L’ambientazione è quella di un cimitero e le lapidi con effigie dei due impostori, Sabato Trippa e Domenico Festa, sono il macabro simbolo a imperituro ricordo. Entrambi hanno una invidiabile condizione economica e sono in buona salute ma la percezione dei problemi è mutevole a seconda dell’osservatorio. Il primo (interpretato da Geppi Di Stasio) è un disinvolto sciupafemmine alle prese con il proprio narcisismo e relativi sensi di colpa più o meno dichiarati.

L’altro (Rino Santoro) più attempato e fedele ma consumato dalla gelosia nei confronti di Elettra figlia di primo letto della sua compagna e che inevitabilmente sfocia in pesanti insinuazioni e avventate congetture innescate da reciproche incomprensioni. Per entrambi la considerazione che gli altri hanno nei loro confronti è preminente ed è ormai irrimediabilmente compromessa. Provano a facilitarne l’impresa Cuomo, il custode del camposanto che pur di arrotondare la misera paga, stringe il rischioso patto col diavolo, e Procopio, collaboratore in affari che, con la provvisoria dipartita dei due, diventa socio di maggioranza della società e provvederà a spartirne i profitti.

Sarà lui ad organizzare la commemorazione funebre e il brunch di commiato dinanzi alla presenza tutta al femminile dei familiari, intrusa compresa. Ad officiare l’estrema veglia con rito ortodosso due sedicenti sacerdoti giunti dalla lontana madre Russia in odore di contraffazione conclamata. Davanti alle perplessità e alle pertinenti richieste delle pie, chi più chi meno, donne, sproloquiano imbrigliati in affabulazioni farneticanti che insinuano ragionevoli dubbi sulla vera identità dei maldestri oratori. Troppo partecipe e ammiccante la loro omelia e la lettura di diari inopinatamente ritrovati, così come altri improbabili effetti personali, non convince la sparuta assemblea.

Aggravato da un bisticcio variopinto di intonazioni e fonemi che vorrebbero essere presi a prestito dalla lingua russa ma che confliggono con evidenti espressioni napoletane, matura così un discredito già ampiamente evocato e la messinscena non risulterà un capolavoro di furbizia. Ne scaturisce quindi un’esilarante ammucchiata di nonsense. I finti ministri di fede mettono in atto un esercizio di equilibrismo paradossale per evitare di essere smascherati, una parodia forse esageratamente carica di surreali quanto stravaganti doppi sensi e contaminazioni.

La resa dei conti sarà solo rinviata e le reazioni saranno opposte e contrarie. Gli affetti perduti non torneranno; loro sì, saranno giunti a scadenza. Nulla sarà più come prima, nel bene, per chi sarà perdonato, e nel male, per chi dovrà scontare un anno di gratuita sofferenza procurata, enormemente superiore alla gioia di riabbracciare chi si credeva perduto per sempre. Il nuovo corso al termine della narrazione orienterà i protagonisti verso nuove opportunità da cogliere e, abbandonati i pregiudizi, ne stravolgerà gli schemi.

L’inatteso epilogo della vicenda costituirà la resurrezione finalmente percorsa. Wanda Pirol (Mimma, la moglie di Domenico), Roberta Sanzò (Elettra figlia di Mimma nonché amante condivisa di Sabato), Antonio Lubrano (Cuomo, il custode del cimitero), Carlo Badolato (Procopio), Manuela Atturo (la moglie Marzia) e Patrizia Bellucci (l’amante Laura) sono i brillanti attori che fanno da cornice ad una vicenda sì paradossale ma dai contorni di ordinaria quotidianità e che mette a nudo le insicurezze e i tormenti provocati da un perenne senso di inadeguatezza nelle relazioni personali, l’accomodante adozione di filtri e le rimozioni che allontanano soluzioni coraggiose, i tradimenti alla ricerca di risposte esistenziali che appagano un maleinteso senso di autostima; insomma, l’immagine sbiadita ed egocentrica di un genere al maschile che guarda all’altro per compiacere se stesso.

Sì, perché l’universo femminile ha qualità e risorse che scombinano qualsiasi ordito. L’atto dei due è solo la manifestazione estrema di una visione gretta, infantile e condizionata della vita come possesso. Non si può sparire impunemente e vedere ‘l’effetto che fa’ brandendo l’arma impropria della morte apparente come strumento di controllo degli affetti e pretendendo una riabilitazione postuma che non si aveva la forza di legittimare in vita.

E’ cinico oltreché immorale attendere il momento propizio per ricomparire impunemente al culmine del dolore dei propri cari. Ascoltare le ragioni del cuore, donarsi senza riserve e affrontare con serenità e responsabilmente le contrarietà, ponderare il giudizio altrui senza esserne sopraffatti, senza curarsi di apparire per come non siamo. Le risposte sono dentro di noi e non si possono reclamare.

Nulla è dovuto né scontato. Sembra questa la chiave di interpretazione di una pièce che nelle intenzioni dell’autore celebra senza enfasi l’autorevolezza di prospettive inesplorate e di contrasti rigeneranti che non hanno la pretesa di essere immuni da rischi né di costituire un apologo pronto all’uso. Rappresentano una strategia, una proposta di stile di vita alternativo meno apprensivo e più autentico che salvi il cucciolo di uomo e lo preservi dalla sindrome di Peter Pan e dal dramma di una cronica insoddisfazione.

*Foto di Adriano Di Benedetto

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