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Incendio Atac, dipendente racconta perché gli autobus vanno a fuoco

Siamo di fronte alla drammatica situazione nella quale versa la più grande azienda di trasporto pubblico locale d’Italia

Gli ultimi accadimenti portano alla mente ovviamente battute sul fuoco, le fiamme, le esplosioni e quanto altro si avvicini ai roghi di vetture Atac. L’amara verità, purtroppo, sconsiglia battute ed ilarità. L’amara verità ci mette di fronte alla drammatica situazione nella quale versa la più grande azienda di trasporto pubblico locale d’Italia. Una società che da lavoro a più di 11000 famiglie, che dovrebbe dare servizio a milioni di romani e turisti, ormai ridotta in fumo. Le cause ovviamente si potrebbero ricercare nella notte dei tempi, ma le ultime vicende sono sotto gli occhi di tutti. Un servizio assolutamente indecoroso per una capitale europea e la Capitale d’Italia, figlio dell’enorme debito accumulato, debito che ha indubbiamente messo un gran timore all’amministrazione Raggi, tanto da invogliare a rifugiarsi nella procedura di concordato preventivo fallimentare, procedura assai lunga e piena di pericoli, oltre che mai provata in precedenza, per un’azienda di simili dimensioni. Un servizio ormai decimato, figlio del debito e del concordato preventivo per vari motivi, ampiamente prevedibili e forse sottovalutati.

L’enorme mole debitoria rende molto difficili gli approvvigionamenti di pezzi di ricambio, ormai fondamentali per un parco autobus con un età media da liceali quando non addirittura da servizio militare e la scelta della procedura concordataria ha di fatto bloccato le forniture da aziende ormai consapevoli di non poter più recuperare per intero i crediti in Atac, ma di vederli decurtati fino anche al 70%. Ci sono anche scelte discutibili da valutare, ad esempio l’affidamento in appalto esterno della manutenzione degli impianti di condizionamento delle vetture per una cifra attorno ai 6 milioni di euro, appalto alquanto bizzarro se pensiamo che la ditta esterna vincitrice dovrebbe attingere, per i ricambi, alle scorte di Atac. Le scorte di ricambi di Atac al momento però consistono in pochi, pochissimi ricambi, non arriva olio motore, mancano pinze dei freni, le centraline elettroniche ormai sono come i vecchi flipper dei bar, fanno tilt al minimo tocco.

I paradossi si susseguono, la frase più usata ormai dalla centrale operativa che gestisce i guasti è ‘resetta da fuori’ e riavvia. Gli autisti la conoscono a memoria, consiste nell’uscire fuori ed aprire, in mezzo alla strada, il portellone delle batterie, staccare l’alimentazione per qualche minuto, recitare qualche preghiera e riattivare il tutto, nella speranza che le preghiere abbiano sortito effetti miracolosi. Miracolosi, solo un miracolo potrebbe infatti ringiovanire le centraline ormai esauste da 10-15 anni di lavoro, che vengono persino smontate e messe a riposo per qualche giorno nella speranza che tornino agli antichi fasti. A nulla sono serviti i cambi delle turnazioni e l’aumento dell’orario di lavoro degli operai, la manutenzione è fondamentale, il parco vetture in alcuni depositi è dimezzato per mancanza materiale di ricambio, le poche vetture circolanti lavorano H24 e senza nemmeno un cambio d’olio.

Qualsiasi meccanico di fiducia sconsiglierebbe di trattare così la propria autovettura, figuriamoci per autobus che debbono trasportare in sicurezza, anziani, bambini, cittadini, turisti e a volte anche il Presidente della Camera. Le due vetture incendiatesi nella giornata di ieri sono solo l’esempio visibile di quello che è adesso Atac, quello che non si vede ma è assai più grave invece è l’incoscienza di voler programmare un servizio a pieno regime pur sapendo che non si dispone delle vetture per espletarlo. Cosa resta di Atac? Solo il fumo denso e acre visto in via del Tritone, l’arrosto (il servizio) non c’è più.

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