Il sovranismo e la posta in gioco nella politica odierna
E’ la materia ad essere l’elemento costitutivo, la matrice che è alla base di tutto il resto. Ovvero, la vita economica, la necessità molto concreta di sopravvivere e di nutrirsi

Elon Musk
La Storia è costituita dall’interazione tra le tre dimensioni fondamentali del passato, del presente e del futuro. Riflettere sul nesso che unisce e lega passato, presente e futuro era, per Benedetto Croce, il senso stesso dello storicismo e del lavoro storico (cfr. Antistoricismo, 1930).
Così, senza ombra di dubbio, negli ultimi decenni ha dominato, in ambito occidentale ed europeo, il binomio che unisce la struttura economica fondamentale costituita dal neo-liberismo di mercato – e da quello che Luciano Gallino, in un suo importante libro del 2011, ha chiamato il finanzcapitalismo – con la sua sovrastruttura politica, ossia con la democrazia liberale e rappresentativa. Così come i paesi europei e occidentali l’hanno conosciuta, dopo la Seconda Rivoluzione inglese del 1688-89, dopo la Rivoluzione americana e quella francese e dopo le Rivoluzioni industriali.
La grandezza dei padri
Riflettere in termini di struttura e sovrastruttura, vuol dire pescare nel retaggio – culturale e filosofico – di Karl Marx e Friedrich Engels. Di quel marxismo, cui anche un filosofo come Martin Heidegger – tanto lontano da qualsiasi simpatia filosofica per il comunismo – riconobbe, nella “Lettera sull’umanismo” del 1946, di aver saputo meditare sulla dimensione della Storia, in maniera più radicale di qualsiasi altra corrente filosofica contemporanea.
Del resto, l’alta elaborazione storicistica del pensiero di Croce, seppure di ispirazione liberale, aveva trovato il suo stimolo più profondo nell’idealismo assoluto di Hegel. La stessa fonte di nutrimento filosofico del pensiero di Marx.
Ora, come noto forse (ormai) solo agli addetti ai lavori – tanto la filosofia è stata allontanata, ad arte, dai pensieri dell’uomo comune – la concezione materialistica della Storia è stata elaborata da Marx ed Engels nel primo capitolo, dedicato a Feuerbach, di “L’ideologia tedesca”.
Opera scritta verso la metà degli anni quaranta dell’Ottocento e rimasta inedita fino al 1932, il cui scopo era una resa dei conti radicale con la cosiddetta sinistra hegeliana, ossia con quegli autori che, come gli stessi Marx ed Engels, si ispiravano in maniera libera, non sistematica e di sinistra all’eredità di Hegel (Feuerbach, B. Bauer, Stirner). In contrapposizione ad una destra hegeliana, dunque, che aveva nel rapporto con il pensiero di Hegel un approccio conservatore.
Primum vivere
In pagine, che non apparirà eccessivo definire epiche, Marx ed Engels rovesciano il guanto idealistico dell’impostazione filosofica fondamentale di Hegel, in direzione materialistica. Ossia, non è lo Spirito ad essere la matrice fondamentale della realtà, il dato ultimo fondamentale che determina tutto il resto, come Hegel afferma, dalla prima all’ultima delle sue vertiginose opere.
Quanto, all’opposto, è la materia ad essere l’elemento costitutivo, la matrice che è alla base di tutto il resto. Ovvero, la vita economica, la necessità molto concreta di sopravvivere e di nutrirsi. Questo ci ha spinti verso la caccia, poi verso l’agricoltura e, in seguito, verso forme sociali ed economiche sempre più elaborate e complesse.
Ma il fatto che noi compriamo la carne dal macellaio, invece di cacciare un cinghiale selvatico, non toglie che il nostro bisogno primario – oggi, come diecimila anni fa – sia sempre lo stesso: quello di mangiare.
L’altro elemento macro-storico da Marx ed Engels messo in luce, è che una determinata forma di civiltà è data dal rapporto tra le forze produttive e i rapporti di produzione. Ossia, per tornare al nostro mondo, bisogna tener fisso l’occhio alla relazione che sussiste tra democrazia e neo-liberismo di mercato. Diamo, allora, uno sguardo al nostro presente che, forse, sta diventando il nostro passato prossimo.
Le difficoltà di ieri e di oggi
Non apparirà, dunque, incongruo, rivolgere questo sguardo al presente e al più recente passato attraverso il cinema. Tra i molti registi interessanti del nostro cinema degli ultimi anni, Roberto Andò (n. 1959) è certamente tra i principali. Due suoi film sono al centro della nostra attenzione, dal punto di vista cui si accennava, ossia la comprensione del nesso che unisce le democrazie liberali con il neo-liberismo di mercato.
Si tratta di “Viva la libertà” (2013) e di “Le confessioni” (2016), che hanno, entrambi, come attore protagonista Toni Servillo (n. 1959), a mio modesto avviso il miglior attore in circolazione del cinema italiano.
In “Viva la libertà”, Servillo impersona, addirittura, i due protagonisti. Si tratta di due gemelli. È un film sulla sinistra italiana, sui suoi drammatici fallimenti, ma anche sulle sue speranze, sulla sua voglia di riscatto, sulla sua persuasione fondamentale di essere dalla parte giusta della Storia, in tempi difficili e perigliosi come i nostri.
Il primo gemello impersonato da Servillo è il leader della sinistra italiana. È un capo stanco, sfiduciato, in calo nei sondaggi. Dopo l’ennesimo attacco, decide di dire basta. Fa la valigia e sparisce, rifugiandosi in Francia da una vecchia amica (V. Bruni Tedeschi). La patata bollente, ustionante, passa al suo collaboratore di fiducia, il sempre ottimo Valerio Mastandrea, che scova l’esistenza di un fratello gemello.
Filosofo e folle, il gemello accetta di aiutare, in incognito, le sorti del fratello. Con la copertura garantita da una somiglianza quasi perfetta, quale solo ai gemelli è possibile, comincia a dire all’Italia tutto quello che il più razionale e misurato fratello non aveva mai avuto il coraggio di dire. Parla di passione, di politica con la maiuscola, di libertà, di disuguaglianze.
Il Partito fa un balzo. Non solo, con il partito fa un balzo il Paese. Ad uno dei più inossidabili dirigenti della vecchia amministrazione, dice: “Rassegnati, questa volta vinciamo!”.
Sulla soglia di elezioni, ormai per la sinistra trionfanti, il gioco delle parti funziona di nuovo e il fratello filosofo cede il suo spazio al leader.
Nella pancia del leone
“Le confessioni” è un film completamente diverso dal precedente. Acre, cupo, pessimistico. Quasi Roberto Andò, nei tre anni che lo separano dal precedente, abbia perso la speranza anche nel valore messianico della follia e della filosofia. “Ed è vero oggi, come nel Medioevo, che solo i pazzi dicono la verità al dominio”, ammoniva Adorno, nell’aforisma 45 di “Minima Moralia. Meditazioni sulla vita offesa” (ed. it. Einaudi, p. 76).
In questo film, la Potenza che si oppone al neo-liberismo è il cristianesimo. Toni Servillo è un monaco, invitato – quasi per caso – ad un G8 di ministri dell’economia, in cui il Presidente del Fondo Monetario Internazionale (Daniel Auteuil) si suicida.
Il problema è che il monaco interpretato da Servillo aveva confessato il Presidente del Fondo Monetario poco prima che questi morisse e non è disposto a cedere sul segreto della confessione. Scatta la trappola paranoica della sicurezza e l’unica ad aiutare il monaco è una scrittrice di libri per bambini (Connie Nielsen, la splendida Lucilla del “Gladiatore” di R. Scott).
A poco a poco, la razionalità vince. Il monaco impersona un principio più forte di quello offerto dagli adepti del neo-liberismo. Inevitabile, non pensare ad Agostino d’Ippona (354-430 d. C.), il Santo e Dottore della Chiesa – che tanto affascinò la mente di Hannah Arendt – soffermandosi sul titolo di questo film di Andò.
Dunque – al netto degli scenari inconfessabili, nascosti dietro la morte in questione – il personaggio interpretato da Toni Servillo si salva. Ma ciò che fa il valore del film è l’atmosfera complessiva: quello del neo-liberismo è un mondo morto spiritualmente, senza anima, senza cuore, senza palpiti.
Le difficoltà di oggi e di domani
Tuttavia, appare indubbio che qualcosa stia cambiando nel quadro complessivo degli ordinamenti democratici dell’Occidente. Le crescenti disuguaglianze, l’austerity, la fredda tecnocrazia dei vertici dell’Unione europea, l’incultura politica sempre più diffusa, la presenza ossessiva e asfissiante dei social-network nelle nostre vite hanno spinto larghe fette dell’Occidente ad appoggiare formazioni sovraniste.
Il quadro fondamentale, tuttavia, è mutato in maniera netta solo con la rielezione di Donald J. Trump (n. 1946) a Presidente degli Stati Uniti d’America. Da più parti, si è invocata l’analogia con i fascismi degli anni ’20 e ’30 del Novecento. Non a torto: per la prima volta in America e in contesti politici di livello nazionale, si è visto fare il saluto nazi-fascista con il braccio teso.
Ora, è vero che – nella Vita e nella Storia – le cose non si ripetono mai allo stesso modo. Ma coloro che pensano che, nella Storia, le cose non si ripetano mai, non danno l’impressione di aver capito molto della dimensione della storicità.
All’idea di un elemento ciclico presente nelle vicende terrene, ci spinge tanto l’enigmatica e mistica concezione dell’eterno ritorno, così come Nietzsche l’ha formulata a partire dalla “Gaia scienza” (1882, ed. it. Adelphi); sia l’incipit del “18 Brumaio di Luigi Bonaparte” (1852, ed. it. Editori Riuniti) di Karl Marx. In esso, Marx afferma che è vero ciò che afferma Hegel, che tutti i fatti della Storia universale si ripetono sempre due volte.
Ma ciò che Hegel ha dimenticato di aggiungere è che la prima volta si presentano come tragedia e la seconda come farsa. Questa importante concezione di Marx, ci permette di riflettere sul nesso fascismo-sovranismo.
È vero che il sovranismo non sembra avere, nelle sue corde, la vocazione omicida dei fascismi e dei totalitarismi (comunismi compresi, dunque) del Novecento. Ma che si torni a parlare di deportazioni – il piano di Trump per Gaza ne è una manifestazione impressionante – è un invito pressante a non abbassare la guardia e la soglia della vigilanza critica. Il rischio è di non ritrovare più nulla delle democrazie europee ed occidentali, per come le abbiamo conosciute dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi. E sarebbe una perdita incalcolabile…