Governo, Conte a Venezia, l’ex Ilva e la cupio dissolvi istituzionale del M5S
L’assurda posizione dei grillini su ArcelorMittal va contro l’interesse pubblico. E non è certo la prima volta
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Immaginate di aver deciso di fare dei lavori all’interno della vostra casa. Immaginate di esservi rivolti al vostro comune che, dopo un’estenuante trafila, ha finalmente avallato il vostro piano. E poi immaginate che cambi l’amministrazione comunale, e che la nuova giunta decida di punto in bianco di cestinare il vostro progetto e vi costringa a ricominciare da zero. Ora trasferite questo esempio a livello istituzionale, e avrete il modus operandi tipico del Movimento 5 Stelle.
L’ultimo esempio lo si è avuto di recente sulla vexata quaestio dell’ex Ilva di Taranto. Con i grillini che dapprima avevano acconsentito al varo dell’immunità penale per ArcelorMittal – che altrimenti non si capisce perché avrebbe dovuto accettare il rischio di un’incriminazione per una situazione di cui non è responsabile, avendola ereditata dalla precedente gestione; e poi, cambiato esecutivo, si sono tranquillamente riposizionati anche per l’urgenza di non spaccare il MoVimento.
Se n’è accorto a sue spese anche il bi-Premier Giuseppe Conte, che ingenuamente aveva convocato a Palazzo Chigi i parlamentari pugliesi del M5S per esporre loro le proprie ragioni: e che si è trovato di fronte il muro dei frondisti capitanati dal suo ex-Ministro per il Sud Barbara Lezzi che, di fronte al possibilismo aperturista dell’ex Avvocato del popolo, pare abbia sottilmente contro-argomentato che lei quel provvedimento non lo voterà mai.
E, guarda caso, il capo politico pentastellato Luigi Di Maio ha subito ribadito la contrarietà dei Cinque Stelle agli emendamenti tesi a ripristinare lo scudo penale per i vertici della multinazionale indiana: emendamenti presentati da Italia Viva e Forza Italia, e puntualmente giudicati inammissibili dalla Commissione Finanze della Camera.
Non sarà peraltro sfuggito che i renziani si sono resi protagonisti di un voltafaccia uguale e contrario a quello dei grillini, essendosi in un primo momento opposti alla misura: ma, preso atto dell’identico deficit di coerenza, resta il fatto che almeno l’ex Rottamatore si è schierato per l’interesse nazionale.
«Al di là dell’Ilva» notava per esempio il leader leghista Matteo Salvini, «un Governo e un Paese che cambia i contratti firmati non è un bel segnale alle imprese di tutto il mondo».
Peraltro, come accennato, il M5S è anche recidivo, avendo per esempio stracciato, con la giunta Raggi, l’accordo già raggiunto dalla precedente amministrazione capitolina per la costruzione dello Stadio della Roma. A conferma che quella del MoVimento è una vera e propria cupio dissolvi istituzionale, che si crogiola nel culto della decrescita e nella rancorosa demonizzazione del successo e del profitto.
Ed è tutto lì il problema. Perché, finché il tafazzismo è autoreferenziale come quello del Pd, si potrebbe anche commentare cinicamente che chi è causa del suo mal dovrebbe piangere se stesso. Ma, se a rimetterci è l’Italia intera, è tutta un’altra questione. Chi ha orecchi per intendere, intenda.
*Foto dal sito del Governo