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Fuori Cosentino, subentra Orfini: il PD romano è commissariato

Renzi annuncia le dimissioni del segretario Lionello Cosentino. E su Poletti: “E’ un galantuomo, non c’entra niente”

Il salotto televisivo come luogo dei proclami ufficiali. O almeno cosìè nell'epoca della politica 2.0, quella dei tweet, dei selfie, e della televisione come agorà per gli annunci ufficiali. Ieri sera, infatti, durante la trasmissione Bersaglio Mobile, Matteo Renzi ha annunciato le dimissioni di Lionello Cosentino, ormai ex segretario del PD romano.

"Sono sconvolto perché vedere una persona seria come il Procuratore di Roma parlare di mafia mi colpisce molto. Per me vale il principio di presunzione di innocenza. Certo, uno rimane sconvolto" – ha detto il premier commentanto l'inchiesta Mondo di Mezzo che, tra Campidoglio e Regione Lazio, ha già fatto saltare 3 teste dei dem – si sono dimessi l'assessore capitolino alla Casa Daniele Ozzimo, il presidente dell'Assemblea Mirko Coratti, il consigliere regionale Eugenio Patanè che ha rassegnato le dimissioni da presidente della Commissione Cultura.

Il PD, quindi, in poco tempo si è ritrovato senza più il suo presidente in Aula Giulio Cesare, e senza il suo segretario romano. "I politici romani devono fare una riflessione. Il centro della questione è l'amministrazione di Alemanno ma alcuni del Pd non possono tirarsi indietro. Per questo oggi ho accolto la disponibilità di Lionello Cosentino a fare un passo indietro e accolto l'indicazione del Pd di Roma per il commissariamento con Matteo Orfini" – ha aggiunto il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Secondo Lorenzo Guerini, vicesegretario del PD, "il commissariamento è un segnale molto chiaro all'opinione pubblica e ai nostri militanti della volontà di voltare pagina. E' stato scelto il presidente del partito Matteo Orfini come commissario perché ha l'autorevolezza per svolgere un compito così delicato" – ha dichiarato a La Repubblica.

La decisione di far fuori Cosentino, potrebbe rispondere anche ad altre circostanze. Proprio Lionello Cosentino, all'epoca del #multagate, aveva parlato chiaro e tondo: si va avanti, nel governo della città, solo se Marino paga le multe e se cambia la sua agenda politica in termini di priorità. Insomma, un modo per far cerchio attorno al sindaco dem a due ruote, come a dire: facciamo la pulizia che è necessaria ma se vi sognate un nostro passo indietro, vi sbagliate di grosso, noi Roma non la lasciamo in mano a nessuno, soprattutto all'indomani della richiesta del M5S di sciogliere il Comune di Roma per mafia. Solo un'interpretazione, questa, è chiaro. Ma gli equilibri politici, in questo momento, sono molto labili. E tremano come foglie in autunno. Perché se è vero che l'inchiesta riguarda principalmente gli anni dell'amministrazione Alemanno, è altrettanto vero che Mafia Capitale coinvolge trasversalmente vari personaggi, per ora solo indagati a vario titolo, appartenenti alle due diverse correnti, PD ed ex PDL. Quindi, le priorità sono cambiate, volente o nolente. E con quelle bisogna fare i conti. "Ci sono tante situazioni che saranno approfondite – ha aggiunto Guerini – chi ha sbagliato pagherà. Per avere un giudizio definitivo va atteso l'esito delle indagini che chiariranno ciò che intanto appare. Ma voglio essere chiaro, il Pd è al fianco dei magistrati". Va comunque specificato che Lionello Cosentino, non è iscritto al registro degli indagati. Ma il Corriere della Sera, in un articolo, riporta: "(…) Del senatore del Pd Lionello Cosentino, segretario della federazione Pd romana, dicono: «È proprio amico nostro»".

Insomma, la richiesta pare evidente: a Matteo Orfini si chiede di fare pulizia. Anche tra i ministri? No, ai piani alti del potere non si può bussare. In Mafia Capitale, "mancano Jack lo squartatore, il mostro di Lochness e poi ci sono tutti. Però Travaglio non le consento di mettere in mezzo a questa vicenda Giuliano Poletti, perché lo conosco. E' un galantuomo" – ha proseguito Matteo Renzi a Bersaglio Mobile, dopo la foto pubblicata da L'Espresso che vede, ad un tavolo incriminato, sedere anche l'attuale ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Insomma, secondo Renzi non si può buttare nel calderone anche Poletti solo perché "ha partecipato a una cena". 

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