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Coronavirus onnipresente, ma solo sui media. La vera malattia è la super paura

L’emergenza sanitaria passerà. L’istupidimento di massa rimarrà tale e quale: a meno che lo si affronti sul serio

Il Coronavirus è arrivato da poco. Tutto il resto no.

Quello che sta emergendo in questi ultimi giorni ce lo portiamo appresso da anni. Anzi, da decenni. Un guazzabuglio di pessime abitudini, sia pubbliche sia private, che a poco a poco ci hanno resi la collettività stupidella e infantilizzata che siamo ora. Con tutte le dovute eccezioni, si intende. Ma non è delle eccezioni che ci si deve occupare quando si osserva il quadro generale.

Questione fondamentale: non eravamo pronti. Non tanto sul piano logistico, che compete alle autorità e che meriterebbe un articolo a parte, ma su quello mentale. Che compete a ciascuno di noi. Ma che allo stesso tempo è condizionato, eccome, dagli influssi esterni. A cominciare da quelli mediatici, Internet e social inclusi. Internet e social in primis, per chi abbia smesso di vedere abitualmente la tv e di leggere con frequenza i giornali.

Se le parole d’ordine sono l’emotività e l’immediatezza, anziché la lucidità e l’approfondimento, è chiaro che gli spettatori assidui assorbiranno quel modello. Se ci si convince di poter giudicare l’universo al colpo d’occhio – mentre magari non si sa nemmeno bene quali siano i continenti della Terra e dove siano situati con esattezza – si continuerà a farlo in ogni circostanza. Nel presupposto quanto mai sciocco che quello che ci viene in mente sia un giudizio degno di tal nome, invece di un’impressione istintiva. Da prendere con le molle. Da riconsiderare a mente fredda. Da rimodellare dopo essersi congruamente documentati sui veri termini del problema.

Sono discorsi sgradevoli? Certo che sì. Ma è proprio questo che li rende necessari. E urgenti.

Prendete la corsa a svuotare i supermercati, come è avvenuto in Lombardia. Di cosa avevano paura, quegli acquirenti sfrenati? Che la Grande Epidemia fermasse la produzione e il commercio a tempo indeterminato, privandoli di quanto necessario alla sopravvivenza (nonché, già che c’erano, del superfluo indispensabile alla sopportazione dell’eventuale/incombente quarantena a casa propria)?

Prendete la corsa all’acquisto delle mascherine protettive e dei disinfettanti garantiti.

Sono presidi sanitari per individui razionali ed evoluti?

No: diventano talismani per moltitudini regredite, senza neanche sospettarlo, a livello tribale e superstizioso.

Sistema immunitario. Come siete messi?

È questa, la vera patologia che ci infetta. E che continuerà a farlo anche dopo che il Coronavirus sarà solo un ricordo, in mezzo a innumerevoli altri. Che si confondono, fatalmente, nel nostro incessante zapping fra le attrattive e le repulsioni dell’esistenza. Di quel po’ di vita che è davvero nostra e di quel molto, o moltissimo, che non lo è affatto. Ma che ci sembra esserlo perché vi assistiamo attraverso i media e abbiamo la possibilità (wow!) di commentarlo. Illudendoci così di avere il potere di giudicarlo. E a forza di giudicarlo, anche di indirizzarlo.

Gli avvenimenti, e forse ancora di più i non-avvenimenti di questo periodo, dovrebbero indurci a ragionare su come siamo fatti davvero. Sul piano mentale. Su quanto sia fragile il nostro sistema immunitario: non in senso biologico ma psicologico. Anche se poi i due piani si condizionano l’un l’altro ed è noto che le emozioni negative si riflettono in un indebolimento generale dell’organismo. Quello individuale e quello, in prospettiva più ampia, dell’intera società: l’organismo sociale, appunto.

A proposito: se già non lo conoscete, procuratevi quel magnifico libro che è “Shock Economy” di Naomi Klein e leggetene quantomeno i capitoli iniziali. Scoprirete cose interessantissime su come i disastri e le grandi paure collettive rendano le popolazioni più disponibili ad accettare le successive imposizioni di questo o quel potere. Politico e/o economico. I disastri si possono sfruttare, ammesso che non li si sia innescati, o favoriti, fin dall’inizio.

La vera “mascherina” che dovremmo indossare è un filtro consapevole nei confronti dei messaggi sbagliati che ci arrivano addosso a getto continuo. Ma il problema è che non c’è modo di comprarla, neanche a prezzo maggiorato.

Bisogna cucirsela da soli, invece. Giorno per giorno. Con il filo di un’intelligenza inesausta e con il tessuto di una saldezza interiore da adulti.

Finalmente da adulti.

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