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Roma, 2 luglio: presidio per aborto e contraccezione garantiti

Giovedì 2 luglio a Roma il presidio rete italiana contraccezione e aborto Pro-Choice per chiedere aborto sicuro e contraccezione efficace

Aborto e contraccezione

Aborto e contraccezione

La rete italiana contraccezione e aborto Pro-Choice lancia per il 2 luglio alle ore 11:00 un presidio al ministero della Salute in piazza Castellani a Roma per chiedere aborto sicuro e contraccezione gratuita.

Obiettivo della mobilitazione “sollecitare le istituzioni preposte a prendere provvedimenti per tutelare e garantire i diritti sessuali e riproduttivi“. Così si legge in una nota stampa della rete Pro-Choice.

“Nel rispetto dell’art. 15 della legge 194/78, chiediamo di garantire alle donne il diritto di accedere alle tecniche contraccettive e abortive più efficaci e aggiornate. In particolare chiediamo di sostenere le donne nell’accesso ai servizi medici che garantiscono l’aborto farmacologico e di reintrodurre i contraccettivi in fascia A. Ovvero quella dei farmaci essenziali e gratuiti.

Aborto e contraccezione, ostacoli e variabilità regionale

L’accesso all’aborto farmacologico è ostacolato, oggi, in Italia, da restrizioni e indicazioni previste dalle linee nazionali ma non giustificabili da un punto di vista scientifico-medico. La richiesta di ospedalizzazione di tre giorni e il limite per la somministrazione fissato a sette settimane dall’inizio dell’ultima mestruazione. In Italia il ricorso all’aborto farmacologico è fermo in media al 20,8%. In molte regioni non arriva neanche al 10%, con una estrema variabilità da regione a regione“.

Continua il comunicato: “È chiamata in causa l’Agenzia italiana del farmaco, Aifa, che nel 2009 impose la somministrazione fino a sette settimane, quando l’Agenzia europea del farmaco la autorizzava fino a nove, così come è scritto nella scheda tecnica. Oggi, quando l’evidenza clinica dimostra che la somministrazione fino a 70 giorni (come negli Usa-Fda) non è problematica, questo limite, ideologico e non medico, deve cadere. È chiamato in causa il ministero della Salute, che deve aggiornare le linee di indirizzo, datate 2010. È chiamato in causa il Consiglio superiore di sanità, lo stesso organo che nel 2010 prescrisse il ricovero ospedaliero di tre giorni per la somministrazione dei farmaci, imponendo una procedura costosa per il Servizio Sanitario Nazionale.

Procedura inutile dal punto di vista della tutela della salute, sgradita e di ostacolo per la maggioranza delle donne (tanto che, di fatto, i casi con ricovero per tre giorni sono solo l’1,8% di tutte le ivg). Sono chiamate in causa le Regioni, visto che alcune sono state in grado di facilitare la procedura e altre si ostinano a non farlo”.

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