Pacemaker impiantato male: cinque medici del Bambino Gesù a processo per la morte del piccolo Giacomo
La morte del piccolo Giacomo Saccomanno riapre le ferite: cinque medici del Bambino Gesù rinviati a giudizio per omicidio colposo. Processo al via a novembre

Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma
La vicenda che ha segnato la vita della famiglia Saccomanno, originaria di Rosarno in Calabria, torna davanti alla giustizia. A sei anni dalla morte del piccolo Giacomo, appena due anni e affetto da una grave patologia cardiaca, il giudice per le udienze preliminari ha disposto il rinvio a giudizio di cinque medici dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. Secondo l’accusa, l’impianto di un pacemaker sarebbe stato eseguito in modo errato e con un ritardo ritenuto “macroscopico”. Un errore che, secondo la Procura, fu determinante nel decesso del bambino.
Il processo, fissato per il 19 novembre davanti alla nona sezione, sarà chiamato a fare luce su una vicenda dolorosa che intreccia medicina, giustizia e la tenacia di una famiglia che non ha mai smesso di chiedere verità.
La morte del piccolo Giacomo e l’accusa ai medici del Bambino Gesù
Era il 2019 quando i genitori di Giacomo, Laura Borgese e Jacopo Saccomanno, insieme al nonno Gianfranco, si rivolsero al centro di eccellenza vaticano per affrontare l’urgenza di un pacemaker. L’intervento, però, non ebbe l’esito sperato. Secondo la ricostruzione dell’inchiesta, durante le manovre di emergenza i medici avrebbero collocato in modo improprio le cannule venosa e arteriosa sul lato sinistro del collo del bambino, già in arresto cardiocircolatorio prolungato. L’impianto del pacemaker, inoltre, sarebbe avvenuto in maniera scorretta, aggravando una situazione già critica.
Gli imputati, oggi rinviati a giudizio, sono i medici Antonio Ammirati, Mario Salvatore Russo, Sonia Albanese, Matteo Trezzi e Roberta Iacobelli. L’accusa è di omicidio colposo.
La battaglia legale della famiglia Saccomanno
La denuncia era stata presentata subito dopo la morte del bambino, ma inizialmente l’inchiesta si era conclusa con una richiesta di non luogo a procedere. Una decisione che avrebbe potuto chiudere per sempre il caso.
La famiglia, però, non si è mai arresa. Grazie al lavoro dell’avvocato Domenico Naccari, sono stati raccolti nuovi elementi probatori che hanno portato la Procura a riaprire il fascicolo. È stato questo passaggio a riaccendere le speranze dei Saccomanno e a riaprire il dibattito giudiziario.
Il nonno Gianfranco, da sempre in prima linea, ha commentato con amarezza ma anche con determinazione: «Per me Giacomo è stato ucciso. Non mi fermerò davanti a nulla, voglio arrivare fino in fondo. La giustizia non può permettere che fatti simili accadano».
Il rischio prescrizione e le reazioni alla decisione del giudice
Nonostante il rinvio a giudizio, il timore più grande resta la prescrizione. «Probabilmente il processo finirà in prescrizione perché i tempi sono stretti – ha detto ancora il nonno – ma almeno è stato riconosciuto il diritto ad avere un processo».
Sul fronte opposto, l’avvocato Gaetano Scalise, difensore degli imputati, ha espresso profondo dissenso: «La decisione del gup è incomprensibile, soprattutto perché la Procura aveva chiesto una perizia e il proscioglimento degli indagati».
L’aula dibattimentale diventa così il nuovo teatro di uno scontro giudiziario che non riguarda soltanto i destini dei medici imputati, ma anche la fiducia dei cittadini nella sanità e nella giustizia.
Un caso che interroga la medicina e la giustizia italiana
Il rinvio a giudizio per la morte di Giacomo solleva interrogativi cruciali sul funzionamento dei protocolli di emergenza, sulla preparazione tecnica degli operatori sanitari e sulla capacità della giustizia di dare risposte in tempi adeguati.
La vicenda mette in evidenza una doppia fragilità: quella di un sistema sanitario che, pur con eccellenze riconosciute a livello internazionale, può fallire in momenti decisivi; e quella di un sistema giudiziario che rischia di non arrivare mai a una sentenza definitiva per via delle lungaggini processuali.
Per la famiglia Saccomanno, la lotta non è solo per un riconoscimento giudiziario, ma anche per una memoria: «Il bambino si poteva salvare – ha detto il nonno – e questo va detto in ogni modo».
La ricerca di verità oltre la prescrizione
Il processo che si aprirà il 19 novembre non restituirà la vita a Giacomo, ma potrà offrire un frammento di giustizia e un chiarimento su quanto accaduto in sala operatoria. La famiglia attende risposte, i medici si difendono, la società osserva con attenzione.
Al di là dell’esito, questo caso resterà come un monito sulla necessità di non abbassare mai la guardia nei confronti della responsabilità medica e sull’urgenza di un sistema giudiziario capace di garantire tempi certi.
La vicenda del piccolo Giacomo continua a interpellare tutti: medici, giudici, cittadini. Perché dietro le carte processuali c’è la vita spezzata di un bambino di due anni e il dolore di una famiglia che non smette di chiedere verità.