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Roma, migranti sfrattati a Ponte Mammolo, José: “Ora come faremo?”

José, migrante di origine sudamericana, non ha più una casa dopo lo sgombero di ieri del campo abusivo di Ponte Mammolo

Quattro famiglie sudamericane di migranti non hanno più una dimora. Le ruspe hanno raso al suolo le loro case ieri, durante lo sgombero al campo di Ponte Mammolo, e il tetto sotto cui vivevano da 13 anni è crollato come un castello di carte dopo una folata di vento. “Non ci hanno dato neppure il tempo di portare via le nostre cose. Ora dove andremo?”. La voce di José è rotta e le sue mani stringono tutto ciò che resta della sua vita. Le chiavi di un auto, qualche vestito, una scatola piena di documenti e i giocattoli della sua bambina. Niente di più. Fino a ieri José era un uomo dalla vita ordinaria: viveva con sua moglie, sua figlia di sei anni e altre tre famiglie dell’Ecuador nel campo abusivo La Comunità della Pace, vicino alla stazione romana di Ponte Mammolo. Vivevano in piccole abitazioni in muratura, che avevano costruito con tanti sacrifici, avevano chiesto l’allaccio di luce e gas e preso la residenza. Una recinzione li divideva dalle baracche di legno e lamiera dove più di duecento migranti avevano trovato rifugio.

Le ruspe non hanno avuto pietà: le foto, i mobili, la tv, la lavatrice. Tutto è andato perso per sempre. “Ci hanno dato meno di un’ora per portare via le nostre cose”, ha gli occhi rossi José mentre racconta. E’ arrivato in Italia tredici anni fa. Ha un regolare permesso di soggiorno e per lavoro presta assistenza ad un anziano. Guarda la sua casa distrutta, le aiole hanno perso i loro colori, i fiori non ci sono più, il cancello dove erano scritti i loro nomi è andato distrutto e José non si dà pace: “Se ci avessero avvisati anche qualche giorno prima, ce ne saremmo andati spontaneamente, avrei trovato un altro alloggio per la mia famiglia”, racconta disperato. Invece, per distruggere la casa è bastata mezza giornata. “Alle dieci sono andato a prendere mia figlia a scuola per portarla dal pediatra. Mentre ero con lei, un amico mi ha chiamato e mi ha detto che stavano sgombrando il campo. Siamo corsi qui”.

Le forze dell’ordine non hanno voluto sentire ragioni: “Ci hanno detto che dovevamo andare subito via. Quando ho chiesto loro perchè non ce lo avessero comunicato prima, mi hanno risposto che dovevamo immaginare che prima o poi ci avrebbero cacciato”. José però conosce la legge e sa che prima di effettuare uno sgombero forzato, gli occupanti devono essere avvisati per avere il tempo di portare via i loro effetti personali e trovare un altro alloggio. Questa volta però nessuno ha ricevuto alcun preavviso. “La mia bambina piangeva e voleva prendere i suoi giocattoli, non ce l’ho fatta a dirle di no”. racconta. “Avrei voluto salvare tante altre cose ma non ci sono riuscito”. Ha il volto rigato di lacrime. “Mia moglie è ricoverata in ospedale per una malattia al polmone. Tra qualche giorno sarà operata, ma quando la dimetteranno non so dove andremo. Ci hanno tolto anche il nostro cane, l’hanno portato al canile”.

Oggi la bambina di José è ospitata da alcuni amici, mentre suo papà ha passato la prima notte senza più una casa al centro d’accoglienza Baobab di via Cupa a Roma. Centinaia di migranti, invece, hanno dormito sotto il cavalcavia della stazione. Tra loro anche tante donne e bambini piccoli appena sbarcati in Italia dalla Libia. Le altre famiglie che vivevano con José erano appena partite per un viaggio in Ecuador. “Erano riuscite a mettere i soldi da parte per tornare qualche giorno nel nostro Paese. Al loro rientro troveranno le loro case distrutte, non avranno più niente”. Medu, medici per i diritti umani, che da anni assiste gli stranieri del campo di Ponte Mammolo, ha definito lo sgombero “vergognoso”. A febbraio Papa Francesco, in visita alla parrocchia di San Michele Arcangelo di Pietralata, aveva varcato il cancello della famiglia di José e delle altre per salutarle. “Ci ha abbracciato e ci ha fatto i complimenti per come avevamo sistemato le nostre piccole case. Erano sempre pulite e in ordine. E invece ora non abbiamo più niente, dobbiamo ricominciare tutto da capo. Non vogliamo carità, ho sempre mantenuto la mia famiglia lavorando onestamente. Abbiamo solo bisogno di un posto dove vivere adesso”

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