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Metropolitana di Roma, Souvenir d’Italie

Ennesima giornata di ordinaria follia a bordo della metropolitana di Roma

Sono quasi le due di un pomeriggio qualunque alla fermata Termini della linea B della metropolitana della Capitale. La direzione è quella per Rebibbia e c’è qualcosa che non va. La folla che staziona sul marciapiede, infatti, è tanta, troppa.

Sono tutti in attesa di un treno che sembra non arrivare mai. Dall’altra parte dei binari, invece, la situazione è ben diversa. Pochi passeggeri in attesa e con i treni che partono, direziona Laurentina, uno dietro l’altro. Ne contiamo cinque, sei e poi sette prima che, finalmente, s'intraveda il “nostro” trenino sbucare dal tunnel.

La folla, nel frattempo, è aumentata considerevolmente e i vagoni che ci passano davanti agli occhi lasciano poco spazio all’immaginazione. Pieni all’inverosimile è addirittura inutile tentare di salire sul convoglio. Nemmeno lo spazio striminzito lasciato dai sopravvissuti che scendono sembra fruibile decentemente e così, la maggior parte degli aspiranti passeggeri decide di “aspettare la prossima”.

Così si ricomincia. Solita storia. Sfilate di treni di là e nulla, se non un “Conca d’Oro” qualunque che non prende nessuno, di qua. Attesa…  Folla da Rimini dei tempi d’oro a Ferragosto.. Le lamentele dei pendolari si fanno sempre più pesanti e, in molti casi, irripetibili. “Hanno tagliato le corse? Solo quelle che vanno in periferia!” e ancora: “Ci trattano come animali! Sembra di salire su un carro bestiame!” e infine: “Non c’è nessuno che ci protegge da ladri e borseggiatori!”.

Alla fine un treno arriva e, come il precedente e purtroppo per tutti, è strapieno. Siamo lì da mezzora e, se si dovesse rinunciare anche a questo, tanto varrebbe andare a piedi.  Scendono in parecchi, stavolta, e l’impresa appare possibile. Così ci avventuriamo e si tenta di salire a bordo. La calca è da concerto rock e, comunque, la meta è vicina. Poi una forte spinta alla folla fa cadere qualcuno e le grida “occhio ai portafogli” mettono in all’erta tutti. Le spinte continuano. Vogliono salire per forza. Sono un gruppo di zingari (o nomadi, viandanti, turisti o non si capisce come si devono chiamare) che, tranquillamente, spingono e prendono a calci chiunque sia loro di fronte per entrare. Sono ragazzi, sette, forse otto (nella calca disumana è difficile contarli con esattezza) con una età che va dai nove ai quindici anni circa del più grande. Tra loro un paio di bambine che, una volta chiuse le porte, si buttano a terra e cominciano ad infilare le mani dappertutto con i complici impegnati a tenere a bada la gente preoccupata di essere derubata con parole e gesti poco simpatici seguiti da minacce. Il caos è totale e, sfortuna vuole che nel mezzo ci sia anche io. Non c’è modo di farli smettere, così, dopo aver minacciato i delinquenti in erba di chiamare la polizia, decido di provare a riuscire a scendere dal convoglio non appena possibile. La fermata arriva poco dopo, è quella di Policlinico.

La bolgia su rotaie riparte mentre raggiungo il posto di controllo della biglietteria e avverto dei ripetuti tentativi di borseggi a bordo del treno. Al di là del controllore che mi ringrazia e, rassegnato,  commenta “tanto è una battaglia persa”, non si vede nessun addetto alla vigilanza. Forse si è allontanato un attimo per una qualsiasi emergenza, ma tant’è. L’annuncio “attenzione ai borseggiatori” risuona in galleria mentre, tornato al binario, aspetto il treno successivo.

Ritento, come con le bubble gum di quando eravamo dei ragazzi.. Magari sarò più fortunato.

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