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“Gli occhi al mare”, quando la musica nasce dalle onde

Maurizio Chi in un’intervista racconta la storia del suo nuovo singolo “Gli occhi al mare” in rotazione radiofonica

Note bagnate di salsedine e barchette di carta. Il nuovo singolo Gli occhi al mare di Maurizio Chisari, in arte Maurizio Chi, cantautore originario di Belpasso, un paese in provincia di Catania ai piedi del vulcano Etna, è un viaggio in solitaria a bordo di una barca a vela. La ricerca di un confronto con il proprio io interiore. E' un momento di riflessione, accarezzato dalle onde del mare, un esercizio all'ascolto. Maurizio racconta la storia del suo nuovo pezzo e la sua esperienza nel mondo della musica in un'intervista.

Partiamo dal tuo nuovo progetto Gli occhi al mare, che si distacca nello stile dai singoli precedenti per la natura introspettiva. Cosa ti ha spinto a scrivere un pezzo così diverso dai precedenti?

Diciamo che se dovessimo analizzare la sfera emotiva e soffermarci sull'umore che ha portato a partorire la canzone, non cambia assolutamente nulla. Ho scritto Gli occhi al mare parallelamente agli altri pezzi. Ho solo mostrato un altro lato della mia personalità. La scelta del nome non è casuale, quel Chi è come un punto interrogativo, Maurizio ha tante facce, Maurizio è tante cose. Da un po' di anni in Italia si è affermato lo stereotipo del cantante che sceglie un genere in base al suo umore e lo porta avanti per tutta la sua carriera. Quindi ci si aspetta che chi scrive canzoni tristi, continuerà a farlo. Io invece mi presento per quello che sono, un essere umano moderno, un mix di sensazioni e sfumature differenti, un insieme di frammenti.

Il viaggio in barca a vela, ripreso nel videoclip della canzone, ha un forte legame con il testo. Quanto il mare della Sicilia, tua terra d'origine, ha influenzato la composizione del pezzo?
Il mare della Sicilia ha influenzato molto il brano. Gli occhi al mare è una composizione sul mare di cui sono follemente innamorato, ci sono cresciuto e non può che essere parte di me, un po' come accade a tutti gli uomini del sud. Se c'è una cosa che accomuna tutti gli italiani a mio avviso, è sicuramente l'amore per il mare, perchè è in grado di regalare tante emozioni a chiunque. E' impossibile non emozionarsi alla vista di una distesa blu ed io ho deciso di scriverci su.

Come mai per le riprese del video musicale hai preferito il mare al largo della laguna di Venezia a quello della tua terra natìa? 
Principalmente l'ho fatto per permettere alla gente di conoscere e vedere mari diversi. Noi gente del sud abbiamo incastonata nella mente l'idea che il mare del nord non è mai abbastanza. Invece, personalmente trovo il mare delle coste venete molto bello, perciò rappresentarlo è una soluzione per abbattere certi pregiudizi. Non tutti sono a conoscenza del fatto che in quella zona vivono i delfini. Il mare è mare tutto, a prescindere da nord e sud. Emoziona alla stessa maniera ed è giusto che ogni costa abbia il suo riconoscimento.

Come è stato lavorare al videoclip con Giacomo Triglia, filmmaker già regista di grandi nomi come Irene Grandi, Francesca Michielin e molti altri, e quale ricordo hai più a cuore delle riprese?
E' stata un'esperienza meravigliosa. Il momento più emozionante che conservo gelosamente tra i ricordi, è stato trovarmi attorniato dai delfini. La barca a vela non ha il motore che li spaventa perciò è stato facile avvicinarli ed ammirarli. Ricordo che avevo il vento dalla mia parte, quel soffio leggero tipico dei giorni dopo la burrasca. Era il momento perfetto, potevo sedermi in poppa da solo e contemplare i delfini che mi nuotavano accanto. Un momento di riflessione magico, che porterò con me per sempre.

Sei stato finalista in diverse manifestazioni, ricordiamo il premio Fabrizio De Andrè nel 2010 e quello Area Sanremo, che hai vinto con Stefano Cherchi nel 2011 come Accademia di Sanremo. Riesci a descrivere cosa si prova a portare al pubblico la propria musica e ricevere riconoscimenti?
Mi piace ricordare l'esperienza all'accademia di Sanremo, dove ho presentato il brano Confini con Stefano Cherchi. Di quell'esperienza mi porto dietro un ricordo felice, che ha il volto dell'amicizia. Il rapporto che si instaura con il pubblico è più sincero se lo condividi con gli amici. Lo stare bene insieme, il divertirsi sul palco e fare musica per piacere, in compagnia delle persone che stimi per me ha molto valore. In quell'occasione abbiamo mostrato alla gente che può nascere una collaborazione tra personalità diverse, con stili di vita e modi di fare differenti che vivono in due realtà molto diverse, due isole distinte, Stefano di origini sarde, io siciliano. Un bellissimo ricordo di coesione e amicizia.

Da dove nasce il tuo amore per la musica, il canto e la danza?
Sono del parere che l'amore per la musica ce l'abbiamo tutti, e chi non ama la musica non ha sensibilità. Il sentimento verso la musica è una reazione spontanea, che parte dall'anima. E' un bisogno naturale di esprimersi. I miei geniori hanno una scuola di danza, quindi devo a loro la mia personale scoperta del mondo della musica. Posso dire di esserci proprio nato. E' stata la danza ad avvicinarmi alla musica e a farmi conoscere i diversi generi. Quando sono arrivato a scoprire il mondo della Canzone e dei cantautori, ho capito che covavo inconsciamente in me il bisogno di scrivere. Ed ora eccomi qua.

Credi che i cantautori in Italia possano ancora riuscire a ritagliarsi uno spazio nel mondo della musica o l'emergere dei Talent Show ha in qualche modo monopolizzato lo spazio sotto i riflettori?
Trovo che c'è molta critica nei confronti di trasmissioni come i Talent. Personalmente, credo che il problema non sia legato alle modalità di far conoscere la propria musica, ma si nasconda nella natura della canzone. Non esistono più le canzoni che la gente ricorda. Se oggi  si tende a dimenticare i brani è perchè la musica si sta complicando troppo, i pezzi sono sofisticati. E nonostante la sofisticatezza appartenga al genere umano, non è ciò che si aspetta il grande pubblico. La gente vuole parole ordinate su uno sfondo musicale orecchiabile. Io non mi sento di criticare i Talent Show, sono il primo che ha fatto la fila per farne parte. Invito invece i cantautori a mettersi nei panni della gente, che ha bisogno di sentire parole chiare, melodie chiare e quindi, a seguire questa direzione.

Pensi che la musica possa tornare ad essere quella di una volta e fornire le giuste istruzioni per costruire quella barchetta di carta che ormai tutti sembrano aver dimenticato?
La musica può tutto. Ho lanciato l'iniziativa con hashtag #paperboat sui social proprio per promuovere la mia personale idea che bisogna ripartire dalle cose semplici, dalle cose che ormai non si ricordano più. La semplificazione è la chiave per arrivare al cuore del pubblico. Allo stesso modo, un ascolto accurato della musica può portare la musica stessa ad una semplificazione e quindi ai propri arbori, ritornare ad essere la musica dei Grandi cantautori che tutti ricordiamo molto bene. Oggi è difficile essere originale, tutto quello che di nuovo poteva proporsi, è già stato fatto, ma forse bisogna puntare altrove. Scegliere personaggi veri da mettere sul palco, uomini con una personalità, che siano coraggiosi e si cimentino in tutte le situazioni, esplorino diverse acque e diverse emozioni. Bisogna partire dalla complessità semplice, spicciola dei personaggi che si presentano al pubblico.

Cosa ti aspetti da Gli occhi al mare
C'è una sola regola nella vita, che vale in amore e per le amicizie: mai avere aspettative. Quindi non mi aspetto nulla ma continuo ad essere determinato. Costruisco la mia musica in modo da non avere rimpianti in futuro. Gli occhi al mare, come tutte le canzoni, si rivelerà con il tempo. Il mio compito l'ho fatto, l'ho posata sulla riva del mare, come una barchetta di carta, ora sta alle onde portarla in mare aperto. E' come una figlia, una volta messa al mondo, sceglierà da sè la sua strada.

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