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Emergenza coronavirus, la proroga di Conte dopo l’euroflop da Recovery

La Ue ammette il rinvio dell’iter per i finanziamenti, e subito il Premier annuncia di voler protrarre lo stato eccezionale fino al 31 gennaio. Tempismo perfetto, e un po’ sospetto

giuseppe conte

L'ex Premier Giuseppe Conte

L’emergenza coronavirus, l’emergenza dei conti e l’emergenza d(e)i Conte. Incroci pericolosi su un’asse Roma-Bruxelles divenuto improvvisamente rovente. Ognuno gioca la sua partita, e tutte, a ben vedere, ruotano attorno a dei prolungamenti temporali. Mettendo a rischio la credibilità del Governo rosso-giallo – e forse anche i suoi destini.

Emergenza coronavirus, Conte chiederà la proroga

«Andremo in Parlamento a proporre la proroga dello stato di emergenza», ragionevolmente fino al 31 gennaio. Questa l’anticipazione del bi-Premier Giuseppe Conte, che ha così confermato le indiscrezioni degli ultimi giorni.

L’attuale stato eccezionale scadrà il prossimo 15 ottobre, ma il Comitato tecnico scientifico ha esortato l’esecutivo a protrarlo fino al primo anniversario della sua proclamazione. L’emergenza coronavirus, infatti, è lungi dall’essere terminata, e la situazione nel Vecchio Continente – soprattutto fra i nostri vicini – suggerisce prudenza.

Di per sé, l’attribuzione dei poteri speciali è un atto finalizzato a rendere più rapidi gli interventi di risposta a una crisi. Per esempio, attraverso l’uso dei controversi e contestati Dpcm, i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. È in forza dello stato eccezionale che Palazzo Chigi può creare zone rosse, nonché bloccare o comunque limitare gli ingressi da Paesi ritenuti a rischio.

L’aspetto che desta maggiori perplessità, in ogni caso, è la tempistica dell’annuncio. Giunta a breve distanza da un’altra velina, stavolta comunitaria, che rischia di mettere in seria difficoltà il Governo. E che ha suscitato maligne insinuazioni sulla possibilità che la “vera emergenza” da cui discende lo stato di eccezione sia politica più che pandemica.

Il flop del Recovery Fund

Tra il dire e il fare, ci sono di mezzo i Paesi Frugali. Si può sintetizzare in questo modo l’ennesimo scontro tutto interno all’Unione Europea sul Recovery Fund. L’ormai mitologico Fondo per la ripresa istituito – per ora solo a parole – lo scorso luglio.

Gli schieramenti sono gli stessi, e i nodi del contendere, più o meno, pure. Per quel che concerne l’Italia, l’attuale casus belli è la procedura di monitoraggio delle spese previste col Recovery Plan, un passaggio necessario per l’erogazione dei finanziamenti. La valutazione spetta sia alla Commissione europea che al Comitato economico e finanziario, un organo del Consiglio Ue che riunisce gli sherpa dei Ministri delle Finanze dell’Eurozona.

Per snellire la procedura, Roma ha chiesto che le due verifiche procedano in contemporanea. L’ipotesi, però, ha subito incontrato le resistenze dei rigoristi nordici, che vogliono che l’ultima parola spetti ai tecnici. Cioè, in ultima analisi, agli esecutivi, visto che il Consiglio europeo è formato dai Capi di Stato e di Governo.

Inoltre, il Belpaese vorrebbe escludere dai regolamenti qualsiasi riferimento alle procedure d’infrazione per i cosiddetti squilibri macroeconomici. Prospettiva, ça va sans dire, osteggiata dall’Olanda e dagli altri settentrionali ossessionati dal Patto di Stabilità.

Considerato che vi sono in ballo anche altre istanze che non ci riguardano direttamente, l’idea di avere i fondi europei nel 2021 diventa un miraggio. Soprattutto perché occorre l’unanimità degli Stati membri per far partire l’iter che porterà realmente al Next Generation Eu. Che ha decisamente ricevuto questo nome perché (forse) ne beneficerà la prossima generazione.

Lo stesso ambasciatore tedesco presso l’Ue ha ammesso che sarà pressoché «inevitabile» un rinvio. Che da noi non potrà non avere ripercussioni, anche considerando quanto si è spesa parte della maggioranza per propagandare la balla dell’Europa solidale. Prima che alla sua porta bussasse la realtà.

Emergenza coronavirus, qual è la “vera emergenza”?

Per il Governo rosso-giallo, però, in gioco c’è molto più del “semplice” prestigio. Come infatti ha ammesso il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, la Manovra 2021 si basa(va) per metà sull’anticipo da circa 20 miliardi del Recovery Fund.

Diventa quindi una questione di sopravvivenza, economica ma anche politica. Visto che, recentemente, proprio Giuseppi aveva dichiarato a un gruppo di studenti che, se «perderemo questa sfida, voi avete il diritto di mandarci a casa».

Ecco perché, potenzialmente, quella comunitaria è una vera atomica. Ed è curioso che, proprio contestualmente alla sua deflagrazione, sia scoppiata l’altra bomba, quella dell’allungamento dello stato di emergenza coronavirus.

Proprio per questo c’è chi ha iniziato a chiedersi se non si tratti piuttosto di un’arma di distrazione di massa. Ma cosa si va a pensare, giusto?

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