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Destroy, Isabella Santacroce‏

Il Sabato Lib(e)ro di Livia Filippi

Isabella Santacroce è una scrittrice italiana, quarantacinquenne, che ha esordito giovanissima nella poesia, con alcuni scritti censurati in Italia. Il suo nome è stato accostato al gruppo letterario, denominato a livello internazionale come Pulp, a livello italiano come il gruppo dei Giovani Cannibali: quegli autori che, evidentemente affascinati dalla crudeltà, dalla prepotenza e dalle stranezze, attraverso un realismo molto crudo nella descrizione di particolari aspetti della vita umana, si dilettano a raccontare in dettaglio l’abuso di stupefacenti, il sesso, il sadomasochismo, l’autolesionismo, il suicidio e così via.

Il suo esordio letterario avviene a metà degli anni Novanta con la pubblicazione della trilogia di Fluo, Destroy e Luminal, tutti pubblicati da Feltrinelli. Destroy in particolar modo suscita un certo interesse, è si un romanzo nichilista ma anzitutto è un libro profondamente femminile.

Misty è una venticinquenne fuggita da Riccione per andare a vivere a Londra dove il «cielo terso definisce troppo nettamente contorni violentemente terreni». Non sa cosa è giusto o sbagliato. E’ una prostituta un po’ casta, con lo smalto sulle unghie e il maquillage sfatto che le scivola sul viso. Si veste di domopak, tulle e latex, beve superalcolici servendosi direttamente dalla bottiglia, legge manga giapponesi e ascolta musica dub, Massive Attack, Smashing Pumpkins, Hole, Nick Cave. Si guadagna da vivere correndo alla velocità della metropolitana londinese, da una casa all’altra per servizi a domicilio quali voyerismo per signore esibizioniste e assistenza a masochisti solitari. Vive situazioni certamente alternative ed estreme che non vengono descritte in modo morboso: il sesso è soprattutto un piacere mentale che raramente porta al puro e semplice atto. E’ un’adulta con richieste da bambina e un desiderio di protezione che nasconde dietro le esagerazioni, i festini, le orge, gli amori saffici, e dietro alle droghe più incredibili dagli effetti anestetizzanti o eccitanti. Prigioniera della carne, è sola con quella leggerezza che si ha quando non si possiede che se stessi, odia la sua solitudine ma la sente anche come una liberazione da gabbie precostruite.

Alle 27:30, un tempo immaginario, ha incontri nudi, scarni; si svaga «nicotinicamente» con un sottile senso di autodistruzione; spera che da un «cilindro nero» esca un incantesimo o una magia in grado di trasformarle la realtà e di svelargliene i segreti.

I suoi incontri vivono il tempo dell’adesso, tempo di fuga e di zapping, la accompagnano per un pezzo di strada, forse la ameranno per qualche giorno, forse per tutta la vita. Anelano tutti a una felicità senza oggetto, pervasi da uno spleen, da un’accidia iperconsumistica, «malsano virus di fine secolo».

Misty mistifica il possibile, sembra sempre altrove, lontana dal posto in cui si trova fisicamente. Guarda la sua realtà, e quest’ultima è per lei come una siepe che le impedisce di vedere tutto ma che le permette di vedere meglio, con l’immaginazione e la fantasia. Pervasa da un desiderio di normalità, immagina vite familiari osservando appartamenti dalle finestre illuminate. Cerca la lingua del corpo per impedirsi di pensare troppo e per non permettere che «mostri alati» invadano la sua debole psiche. Cerca un «odore di famiglia, di coperte rimboccate», vorrebbe che qualcuno le asciugasse le lacrime con un bacio, ma ha paura che possedere qualcosa significhi esserne posseduti.

Chissà se Misty imparerà a dire «ti amo senza sbagliare». «Sola e nuda contro il mondo», chissà se partirà per fermarsi e non solo per andarsene.

Certo è che cercava l’amore e continuerà a trovarlo tra «sangue e lacrime».

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