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Voi mi accusate, io svicolo. La ministra Azzolina pensa di cavarsela così

Repubblica attacca: nella “tesi” per l’abilitazione ha copiato brani altrui. La Lega sollecita le dimissioni. Lei si arrampica sugli specchi

È un caso semplice? Sì, lo è. A patto che si abbia quel minimo di onestà intellettuale che è necessario per giudicarlo in sé stesso. Senza farsi condizionare da chi è finito sul banco degli imputati, la neo ministra dell’Istruzione che è stata eletta nelle file del M5S, e su chi ne chiede a gran voce le dimissioni, la Lega nel suo insieme.

Cominciamo dalle accuse. Sulle pagine di Repubblica il noto linguista Massimo Arcangeli afferma che Lucia Azzolina ha inserito nel suo elaborato per l’abilitazione all’insegnamento delle parti che ha copiato pari pari da opere altrui, senza né metterli tra virgolette, né indicarne l’origine nei riferimenti bibliografici. In realtà, Arcangeli non ha esaminato il testo completo ma solo le pagine iniziali. Tuttavia, in quell’estratto parziale ha trovato la bellezza (la bruttezza) di tre brani che sono stati ripresi alla chetichella, nel palese intento di far credere che fossero stati scritti ex novo quando invece non lo erano affatto.

Come riporta Il Fatto quotidiano online, “il primo è preso dal Dizionario di psicologia di Galimberti, il secondo, che riguarda il ritardo mentale, è tratto dal Trattato italiano di psichiatria edito da Masson nel 1992, mentre il terzo è una ripresa del Diagnostic and statistical manual of mental disorders”.

Al di là dei dettagli, la questione è di una chiarezza estrema: se le affermazioni di Arcangeli sono corrette – e fino a prova contraria c’è da ritenere che lo siano – la condotta di Lucia Azzolina è obiettivamente colpevole. E visto il suo incarico di governo, che la pone al vertice del ministero che presiede alla pubblica istruzione, è tenuta a dimettersi. Il ruolo la obbliga per definizione a essere d’esempio sia agli insegnanti sia agli studenti e la sua “disinvoltura”, che in altri sarebbe ugualmente riprovevole sul piano etico ma di minore rilievo sul piano delle implicazioni e delle conseguenze, non è tollerabile.

Lei come reagisce, invece?

Arrampicandosi sugli specchi. Poiché la Lega l’ha attaccata parlando impropriamente di “tesi di laurea”, Azzolina prova a buttarla sul sarcastico. In un breve video diffuso da Repubblica, scodella un fritto misto di puntualizzazioni a dir poco raffazzonate: “Non fatevi prendere in giro, non è né una tesi di laurea né un plagio, né nulla. Ho sentito tantissime sciocchezze in queste ore, d’altra parte non mi stupisce che Salvini non sappia distinguere una tesi di laurea da una tesi di fine relazione di tirocinio Ssis (Scuola di specializzazione all’insegnamento secondario). Non ha mai studiato in vita sua e sarebbe strano se li distinguesse”.

Il seguito è ancora più incongruo: “L’unica cosa che mi dispiace è dover parlare qui da Auschwitz. D’altra parte l’anno scorso il ministro leghista Bussetti non si è presentato. E a maggior ragione era importante che io ci fossi oggi”.

Ma che cosa c’entrano gli studi di Salvini?

E cosa c’entra il riferimento ad Auschwitz?

Un tubo di nulla.

Come si direbbe a scuola, “lo svolgimento è fuori tema”. Completamente.

Basta, con l’alibi dei difetti altrui

È vero: qui in Italia non c’è nessuna forza politica che abbia del tutto le carte in regola per impartire lezioni di correttezza a chicchessia, o su qualunque tema. Chi si è sporcato in un modo, chi in un altro. Chi si è screditato in un’occasione e chi in un’altra. Fino ad accumulare i singoli episodi e generare, per tutti e sia pure con determinate differenze che non vanno trascurate, degli elenchi più o meno lunghi di magagne imbarazzanti. E in continuo aggiornamento.

Questo quadro generale, però, non autorizza nessuno a sottrarsi all’obbligo di rispondere alle contestazioni sulle proprie specifiche mancanze. E non dovrebbe nemmeno indurre i sostenitori di questo o quel partito a rifugiarsi nel medesimo schema, per cui ci si guarda bene dal replicare nel merito e si reagisce, invece, arroccandosi nella ricusazione in blocco dei censori di turno.

Un contrattacco, quest’ultimo, che è di per sé legittimo e talvolta persino doveroso, ma solo a patto che non serva a scansare la necessità di chiarire se le accuse ricevute siano fondate oppure no, al di là delle strumentalizzazioni di chi le formula. O le amplifica.

Anzi, i primi a esigere spiegazioni adeguate e convincenti, o persino rigorose, dovrebbero essere proprio gli elettori in buona fede, e a maggior ragione i militanti. La chiave di volta non è in un riduttivo “gli altri sono peggio dei miei”, ma in un potente “i miei sono migliori degli altri”.

E nel dire migliori pensiamo a delle qualità che lo siano in senso assoluto. Non solo nel collocarsi leggermente più in alto, o leggermente meno in basso, sulla scala del degrado politico. Politico, e morale.

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