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F.Pulici: “Lazio ancora c’è una speranza. Pioli?Esonero ingiusto”

Intervista esclusiva all’ex-portiere della Lazio, Felice Pulici che parla della stagione dei biancocelesti e dei suoi momenti con questa maglia

La nostra Redazione ha contattato nel pomeriggio il simbolo della Lazio e attuale vicepresidente vicario del CONI Lazio, Felice Pulici. Pulici è sempre rimasto nei cuori dei tifosi della Lazio, indimenticabili sono le sue parate con la maglia biancoceleste, indossata per 6 stagioni, soprattutto quelle che hanno permesso alle Aquile di conquistare il primo Scudetto nel 1973/74. Il rigore parato a Cuccureddu davanti a 77mila spettatori contro la Juventus, primo rigore fallito in stagione per lo specialista bianconero, le parate su Biasiolo e Chiarugi a San Siro contro il Milan e la respinta acrobatica sul colpo di testa di Gori a Cagliari. Una stagione da incorniciare quella, con un Pulici straordinario, portiere meno battuto della stagione, lo era stato anche in quella precedente, che in più occasioni aveva salvato i risultati biancocelesti. A cavallo tra gli anni 90 e il primo decennio del 2000, ricopre più volte il ruolo da dirigente per la società che in quegli anni, nelle due ere Cragnotti, porta a casa ben 6 titoli dei 14 conquistati in tutta la sua storia.

Iniziamo, ovviamente, con una sua personale opinione su quella che è la stagione della Lazio. I biancocelesti, dopo il terzo posto conquistato l’anno scorso adesso navigano a metà classifica non riuscendo a risollevarsi.

«Finché non c’è la sicurezza, bisogna stare cauti perché mancano ancora tre partite e il calcio ci ha abituato a tante soprese.  Ancora c’è l’opportunità di guadagnare un sesto posto che proietterebbe la Lazio in ambito internazionale. Qualora non si dovesse, però, verificare questa opportunità, quello di quest’anno sarebbe un campionato mediocre, deludente, un buco nell’acqua. La Lazio, però, ha bisogno anche di una vittoria della Juventus in Coppa Italia per volare in Europa, ma bisogna trovarsi nella posizione di sfruttare l’aiuto che potrebbe darti un’altra squadra».

A suo avviso è stato corretto esonerare Pioli? E la scelta Inzaghi, è stata la scelta giusta?

«Secondo me, esonerare Pioli non è stata la scelta giusta. Pioli è l’artefice, l’elemento cardine della struttura di questa Lazio, non bisogna addossare tutte le colpe al tecnico. È impossibile che un allenatore bravo che porta una società sino al terzo posto l’anno scorso arrivi al punto di essere esonerato. Andava valutata bene la situazione per capire quali sono le vere cause che hanno portato la Lazio a deludere quest’anno». L’ex-portiere biancoceleste prosegue: «Le colpe di Pioli vanno condivise con il club che non ha saputo organizzare bene la stagione 2015/16. Secondo me, un grande errore è stato quello di puntare molto sulla Super Coppa Italiana contro la Juventus ad agosto a Shanghai. Puntare molto su quel match ha sicuramente inciso sulla preparazione atletica della rosa e messo quasi da parte i preliminari di Champions contro il Bayer Leverkusen. L’obiettivo primo della società doveva essere quello di accedere alla Champions, magari trascurando un po’ la partita di Super Coppa contro la Juventus. Lo si è visto maggiormente nel match di ritorno contro i tedeschi, in cui la Lazio, appesantita da un’errata preparazione atletica, si è quasi consegnata al Bayer ».

Secondo lei quali sono le mosse giuste che la società deve intraprendere per rivedere una Lazio competitiva, magari come quelle con cui lei ha vinto lo Scudetto, una volta da portiere e una volta da dirigente.

 «La Lazio deve fissare bene gli obiettivi per l’anno prossimo, in cui molto probabilmente sarà impegnata solo in campionato e Coppa Italia, ma principalmente rivedere l’assetto societario. Non voglio dire come e cambiando chi, ma è impensabile rivedere nuovamente la squadra  giocare senza tifosi. Il presidente e i dirigenti devono impegnarsi a riconquistare la fiducia dei propri sostenitori o saranno costretti a vendere la società». Parlando poi di puntellare la rosa della Lazio, magari nel calciomercato estivo, Pulici afferma: « Sarà difficile riuscire a prendere dei grandi nomi perché un giocatore non vuole giocare in uno stadio senza tifoseria e soprattutto senza competere nelle competizioni europee».

Adesso passiamo ad una domanda personale, a lei che è un simbolo per la Lazio. Qual è il momento della sua carriera che ricorda con particolare piacere, quello più emozionante?

«Con questa società è stato sempre un crescendo di emozioni, il primo momento indimenticabile è quello del trasferimento dal Novara alla Lazio, poi indubbiamente quello più bello è il giorno dello Scudetto, il 12 maggio del 1974. Quello è il giorno più bello della mia vita, non solo della mia carriera, perché non ho neanche potuto festeggiare il campionato con i miei compagni di squadra, sono partito per Monza perché era nato il secondo dei miei tre figli. L’unico neo di quella stagione è stato non poter partecipare alla spedizione del Mondiale ’74 in Germania con la nazionale italiana. Ero stato inserito nella lista dei 40, ma al Mondiale che consacrò il calcio totale dell’Olanda di Cruyff e compagni, andarono Zoff, Albertosi e Castellini».

Un’altra domanda sempre personale. Perché, a parte una piccola parentesi con la primavera della Lazio, appena ritiratosi dal calcio giocato, non ha mai pensato ad una carriera come tecnico?

«Semplicemente perché il ruolo del tecnico non mi è mai piaciuto. Ho sempre preferito il ruolo del dirigente, difatti, dopo il mio ritiro mi sono laureato e ho continuato a stare vicino alla società come dirigente, volevo propormi al club in maniera differente. Sono stato il responsabile del settore giovanile, il legale della Lazio e sono riuscito a costituire la prima scuola calcio per un club professionistico, quella che oggi chiamiamo comunemente Academy».

Un’ultima domanda: in futuro tornerebbe alla Lazio?

«Ad una domanda così non posso rispondere negativamente, però  la vedo una cosa improbabile per due ragioni. La prima è che con questa presidenza, da parte mia, il discorso è ormai totalmente chiuso. La seconda è che ormai alla mia età è più giusto pensare ad altro».

 

Intervista a cura di Marco Spartà

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