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Clima e diritti gay, perché Obama solo ora sembra così convinto?

Il presidente americano Barack Obama avrebbe parlato con questa fermezza, sincerità e apertura mentale 3, 4 anni fa?

“Nella lotta ai cambiamenti climatici gli Stati Uniti devono dare il buon esempio, e sfidare il mondo a fare altrettanto”. E ancora: “Oggi è un grande passo nella nostra marcia verso l’uguaglianza. Coppie gay e lesbiche ora hanno il diritto di sposarsi, proprio come chiunque altro”.

A pronunciare queste frasi, o come si direbbe oggi, a twittarle è stato il presidente degli USA Barak Obama, nei mesi scorsi. Senza entrare nel merito delle questioni, è interessante porsi una domanda e provare a darsi una risposta (magari non di marzulliana memoria): Obama avrebbe parlato con questa fermezza, sincerità ed apertura mentale 3 – 4 anni fa? Questo arco temporale non è considerato casualmente, ma coincide all’incirca con la fine del suo primo mandato e l’inizio della successiva campagna elettorale per le presidenziali 2012. La risposta, al nostro quesito, è no ed il perchè è probabilmente da ricercarsi nella natura stessa della nostra democrazia rappresentativa. Giunto alla fine del suo secondo mandato e impossibilitato a presentarsi per un terzo consecutivo, Obama può parlare ed esprimere con maggiore libertà le sue opinioni anche su temi delicati e di importanza fondamentale per il futuro. Non più costretto a destreggiarsi tra equilibrismi parlamentari, sondaggi sulla popolarità più o meno attendibili, pressioni lobbistiche, campagne elettorali a ciclo continuo e quant’altro un leader del suo livello può, finalmente, parlare con meno circospezione ed ipocrisia e dettare una linea politica più decisa e vicina al suo modo di pensare.

Ed è proprio questo il punto: quando si deve rispondere a un proprio partito in subbuglio, assecondare la pancia degli elettori per garantirsene la condiscendenza, sbrogliare la matassa di maggioranze parlamentari variabili tenute in piedi da una manciata di voti, anche il leader politico più volenteroso e capace si trova costretto, pena la rapida fine della propria avventura politica, a scendere a compromessi al ribasso e prendere decisioni che possano scontentare meno soggetti possibili nel breve periodo a scapito dell’interesse generale di medio – lungo periodo, causando così gravi danni alle generazioni future (come del resto quello che sta accadendo oggi, purtroppo, ben dimostra). Come diceva Don Abbondio chi non ha coraggio non se lo può dare. Allo stesso modo chi non è statista, quindi pronto a mettere a repentaglio la propria carriera politica (anche se l’impegno politico non dovrebbe essere vissuto come una qualsiasi altra attività lavorativa, ma qui si apre un nuovo tema che meriterebbe una trattazione a parte) pur di proporre interventi che rispondano più alla ratio che non alla pancia, si limiterà pavidamente a svolgere il proprio compitino in cambio di una tranquilla rielezione ed un incremento percentuale del proprio partito di appartenenza.

E’ il continuo rincorrersi di elezioni nazionali, amministrative, europee per fare l’esempio del nostro continente, con tutto ciò che ne consegue in termini di assegnazione dei seggi più o meno sicuri, favoritismi da accordare a segmenti di elettorato che potrebbero far pendere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra etc., che non consente ad un politico anche bravo di sviluppare la sua azione politica con un occhio rivolto agli effetti futuri delle decisioni da prendere. Se poi aggiungiamo il fatto che, sempre più spesso, i risultati elettorali vengono disattesi o addirittura stravolti dall’intervento di forze sovranazionali istituzionali o, peggio ancora, di natura speculativa il gioco è fatto: siamo avvitati in una spirale che non ci consente di uscirne. Forse è arrivato il momento di rivedere l’impianto della nostra democrazia, i suoi tempi, i suoi riti, le sue storture, perchè abbiamo sempre più bisogno di statisti che guardino oltre il proprio naso e non di sbiaditi politicanti pronti a soddisfare e solleticare i più primitivi istinti degli elettori pur di poggiare a lungo le proprie terga su di una comoda poltrona. Le cose buone per essere fatte hanno bisogno di tempo e anche la buona politica ne avrebbe bisogno.

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