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Centrodestra di qua. Centrosinistra di là. Maltornato, bipolarismo

M5S ai minimi termini e strada spianata ai soliti blocchi. Col PD che si esalta per Bonaccini e Forza Italia che rispunta in Calabria

Moriremo bipolaristi?

La domanda cruciale è questa. Ma la generalità dei commentatori si guarda bene dal porla. Perché per loro, per i politici di mestiere e i professionisti dei media che li assecondano, non si tratta affatto di un pericolo. Bensì di un auspicio. A loro va benissimo che il M5S si sia tolto di mezzo e che la partita sia tornata a essere, più o meno, quella che erano abituati a giocare prima dell’avvento di Grillo e dei suoi improbabili condottieri.

Ottimo: una volta noi e una volta voi. O magari due volte voi e poi di nuovo noi. O viceversa.

Mica è la fine del mondo, saltare un giro. O un paio. Tanto, l’esperienza dimostra che in seguito ci sarà fatalmente un avvicendamento. La famosa alternanza. La famigerata alternanza che gli sciocchi scambiano per un sinonimo di alternativa. E che invece è quasi il suo opposto. Tipo un servizio pubblico che viene dato in concessione: può cambiare la ditta che se la aggiudica, ma non cambia la natura del compito che dovrà svolgere.

Un singolo esempio: lo stravolgimento sistematico delle normative sul lavoro dipendente che hanno reso il precariato la regola e uno stipendio decente un mezzo miraggio.

Da quale governo è dipeso? Da uno di centrodestra o da uno di centrosinistra? E perché non si è mai invertita la rotta, di fronte ai disastri che si sono determinati?

La risposta è tanto netta quanto rimossa dal dibattito pubblico.

La risposta è che sulle direttrici fondamentali, di organizzazione economica e di politica estera, l’Italia è succube di interessi sovrannazionali.

Il potere finanziario, esercitato in Europa dalla BCE.

Il potere globalista, egemonizzato nel mondo dagli USA.

Che brutta impresa, rivitalizzare il PD

Moriremo bipolaristi?

Sul futuro bisogna andarci cauti, specialmente se si ragiona in termini di decenni, ma al momento la direzione è questa. E il bipolarismo, qui in Italia, ha un significato preciso: un blocco di centrosinistra contrapposto a uno di centrodestra. Dove però, per entrambi gli schieramenti, il termine chiave è “centro”.

Una parola che tende ad apparire neutra e che invece non lo è per nulla. Visto che equivale al modello esistente. Al modello dominante. Alla classe dirigente che ci ha portati alla situazione odierna. In pratica, con riferimento ai partiti, il PD da una parte e il PDL dall’altra. E al Quirinale, via via, i vari Scalfaro, Ciampi, Napolitano e Mattarella.

Il suicidio del M5S porta innanzitutto questa enorme responsabilità: aver spianato la strada al ritorno dell’assetto precedente al suo trionfo nelle elezioni del marzo 2018.

Meno di due anni fa, se guardiamo al calendario.

Un’eternità, in termini di rivolgimenti nel quadro politico. Fine delle grandi speranze, per chi era stato così ingenuo da crederci, e scontro frontale con la più cocente disillusione, per chi non sia tuttora ottenebrato da una fede cieca che confonde i desideri con la realtà.

L’unico dato omogeneo, nelle votazioni di ieri in Emilia-Romagna e in Calabria, è proprio questo. Che il MoVimento (anzi l’ex MoVimento, visto che le sue dinamiche e le sue giravolte sono ormai della stessa, miserrima pasta di quelle dei partiti “tradizionali”) è in piena dissoluzione. Sulle percentuali, su scala nazionale, si può discutere. Sul tracollo di credibilità c’è poco o nulla da eccepire. Il patrimonio accumulato ad alta velocità se ne è andato a velocità ancora maggiore. E di sicuro non tornerà, perlomeno sotto quelle insegne.

Circostanze favorevoli eccezionali avevano reso possibile l’exploit. Un eccezionale miscuglio di incompetenza e di personalismi – se non addirittura di malafede da parte dei vertici – lo ha dissipato in modo irreversibile. Riuscendo in una sorta di “mission impossibile”: rivitalizzare quel PD che è stato, e che rimane, il principale referente del potere sovrannazionale in stile Commissione Europea.

I conti finanziari, con la loro pseudo oggettività, che diventano l’alibi per soffocare ogni possibilità di rinascita dell’Italia. La ragionevolezza che fa da paravento all’acquiescenza.

Fateci caso: la classica distinzione tra elezioni politiche e amministrative permane. Ma la differenza decisiva è in via di scomparsa: oggi, e sempre di più, le elezioni sono tutte e solo amministrative. Perché l’unica funzione che possono svolgere i partiti nazionali è gestire la cosa pubblica con decisioni a scartamento ridotto. E guardandosi bene dall’ostacolare le linee guida stabilite altrove, ossia dalle grandi potenze statali e dai grandi potentati economici.

Eravamo uno Stato sovrano. Siamo diventati la “regione Italia”.

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