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Buzzi ai domiciliari: così può aspettare “comodamente” il nuovo appello

La Cassazione ha escluso l’aggravante mafiosa e imposto di rideterminare la pena. Scatta il beneficio e l’avvocato Diddi canta vittoria

Pessima decisione, i domiciliari a Salvatore Buzzi. Così come a ogni altra persona che non si sia macchiata solo di reati occasionali, e nemmeno troppo gravi, rientrando perciò in una categoria diversa dai criminali veri e propri. I cui atti, invece, scaturiscono da una volontà radicata e sistematica di delinquere e quindi si meritano, eccome, una punizione severa. Addirittura inflessibile.

Per soggetti di questo tipo, che fino a quando hanno potuto si sono fatti beffe non solo delle leggi scritte ma di qualunque principio morale, la semplice privazione della libertà è una sanzione troppo lieve. Sia come castigo per loro, sia come deterrente per chi avesse in animo di imitarli.

La tipica obiezione è che questo effetto di deterrenza non si produce. La replica è che si tratta solo di un obiettivo accessorio. Se lo si consegue, bene. Se non lo si realizza, amen. Vorrà dire che coloro i quali hanno ignorato la lezione, benché impressa a caratteri cubitali, subiranno la medesima sorte di chi li ha preceduti. Era un avvertimento supplementare, non una barriera invalicabile. Tu l’hai infranta. Tu ne pagherai le conseguenze. Lo sapevi benissimo, a che cosa andavi incontro

L’altra reazione, ancora più tipica, è gridare al giustizialismo. Ma vale quello che abbiamo già scritto all’inizio: il confine netto che va posto, e presidiato, è tra il reato episodico e l’atteggiamento abituale. L’idea, l’aspettativa, l’illusione che deve essere stroncata è che vi siano delle scorciatoie a disposizione di chi non ha scrupoli. E che i rischi non siano poi così elevati, per chi decide di percorrerle.

Allo stesso tempo, però, bisogna subito aggiungere che il presupposto di una repressione così drastica è che siano assicurate le condizioni generali per vivere onestamente, e senza fare i salti mortali.

La prima forma di giustizia è la giustizia sociale.

Il primo valore da tutelare è che chiunque sia intenzionato a fare bene abbia la possibilità concreta di farlo.

Povero Buzzi, dice il suo avvocato…

“In dubio pro reo”, recita il classico principio giuridico. Che peraltro attiene all’accertamento della responsabilità penale e mira a evitare il rischio di condannare degli innocenti.

Oggi, invece, il criterio di riferimento dovrebbe essere un perentorio “in dubio contra reum”. Tra un’alternativa più blanda e una più rigorosa, andrebbe scelta e applicata la seconda. Perché in una società come la nostra c’è un enorme bisogno di invertire la tendenza generale, improntata da decenni e decenni alla incertezza della pena.

In troppi casi, tra la sanzione teorica e quella effettiva c’è uno scarto cospicuo. Talmente cospicuo da snaturare la previsione originaria del Codice Penale. Anche lasciando da parte il caso di chi se la cava con conseguenze limitate grazie al fatto che si può permettere avvocati strapagati, e magari perizie mediche compiacenti, la gamma degli “scorrettivi” è amplissima. Nel processo ci sono le riduzioni automatiche del rito abbreviato. Durante la detenzione, gli sconti quasi altrettanto automatici che si imperniano sul requisito, sopravvalutato, della buona condotta. Nonché quelli discrezionali che risentono del desiderio, o della smania, di incentivare o attestare il ravvedimento dei condannati.

Inoltre, tornando alla questione specifica dei domiciliari, c’è un elemento che dovrebbe essere prioritario e decisivo, e che viceversa è ignorato: accertare che le abitazioni di chi fruisce del beneficio siano di limitate dimensione e prive di qualsiasi lusso.

Calisto Tanzi, per citarne solo uno, è “detenuto” dal 2011 nella villa della moglie alle porte di Parma. E le virgolette, giustamente, le usava anche il Corriere della Sera in un suo articolo di quasi due anni fa, intitolato “Da Cragnotti a Tanzi, dagli ex Lehman a Mr Junk bond: che (bella) fine hanno fatto”.

Dove si sistemerà, Salvatore Buzzi?

Siamo impazienti di saperlo. E se si tratterà di una residenza privilegiata non mancheremo di denunciarlo.

Nel frattempo, a conferma del clima generale in cui viviamo, ecco le dichiarazioni del suo avvocato Alessandro Diddi, che lo difende unitamente al collega Piergerardo Santoro:  “Dopo 5 anni di custodia preventiva (e una condanna in appello a 18 anni e 4 mesi, ndr) finalmente è stata restituita giustizia. Mai nessuno in Italia ha pagato in questo modo per una corruzione”. E ancora: “Adesso finalmente possiamo guardare con serenità all’ultimo pezzo del processo che ci attende in appello. Spero che si possa mettere fine a questa strana e forse distorta pagina della giustizia italiana”.

Rileggere, prego.

“Strana e forse distorta”.

Nientemeno.

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