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A caccia di squali

L’Australia, dopo decenni, riapre la caccia allo squalo bianco per proteggere le spiagge

Perth (Western Australia) 10 dicembre. Si riapre la caccia allo squalo.
Come nella saga de Lo Squalo degli anni settanta, l'Australia dell'ovest ingaggia i pescatori per uccidere gli squali che si avvicinano troppo alle spiagge.
La zona di Perth e il sud ovest del Paese saranno interessate dalla nuova legge che è stata messa in campo dal Ministero della Pesca.
“Saranno messe in opera, si legge, postazioni a circa 1 chilometro dalla spiaggia con delle esche che attireranno gli esemplari colpevoli di aggressioni all'uomo e verranno uccisi. Comunque saranno eliminati anche gli squali che oltrepasseranno le linee”.
Il Ministro della Pesca, Troy Buswell, ha dato le singolari disposizioni, accogliendo in pieno le proteste di alcuni surfisti e bagnanti contro la presenza di squali bianchi in quelle acque.

Lo scorso anno, solo per un soffio e grazie alle lamentele di gente comune e ambientalisti, era stata scongiurata la norma approvata ora.
Le disposizioni del Ministro, tuttavia, lasciano perplessi anche i non addetti ai lavori che, appena avuta la conferma della legge “ammazza-squali”, si sono messi all'opera per scongiurarne l'entrata in vigore.

Le cosiddette postazioni con le esche poste ad un chilometro dalla costa appaiono decisamente inappropriate in quanto non sono selettive, abboccherebbe qualsiasi cosa; lo squalo bianco, poi, è un animale che predilige la costa e verrebbero eliminati, restando così le cose, decine di esemplari necessari alla sopravvivenza della specie (i dati parlano di circa 3500 esemplari restanti di squalo bianco al mondo!). L'uccisione degli squali e dello squalo bianco in particolare, si dovrebbe mettere in atto, è la norma stessa che lo dice, dopo l'eventuale aggressione del predatore ai danni di un essere umano. Stabilire il colpevole per ucciderlo, appare arduo, ammesso che se ne abbia il diritto. Nel frattempo, però, si assisterebbe all'uccisione di altri “innocenti” esemplari dei quali, evidentemente, importerebbe poco o nulla. L'importante, dice la norma, è che superino i tre metri di lunghezza, che è tutto dire.

La legge “ammazza-squali”, si giustifica il legislatore, viene dopo i sei attacchi fatali avvenuti nel Paese negli ultimi due anni. Le acque predilette dai surfisti, purtroppo, sono le stesse nelle quali cacciano gli squali e la scarsa visibilità che è tipica del mare agitato dalle onde, può aumentare il fattore di rischio per chi si trova su una tavola da surf. I surfisti australiani, sudafricani e californiani lo sanno bene e, come più di qualche praticante di questo sport mi ha detto in Sudafrica, “è un rischio calcolato”.

Dimentica, il legislatore, che l'oceano non è un parco né tanto meno un giardino zoologico dove gli animali si tengono in gabbia per il “divertimento” dei visitatori. I pesci, nell'oceano che è la loro casa, di solito nuotano, cacciano, vivono… anzi, cercano di sopravvivere nonostante noi.

L'Australia, dopo anni di sterminio nei confronti degli squali, era stato uno dei primi Paesi a capire l'importanza dei predatori per la vita degli oceani, proteggendoli per decenni. Decenni frantumati in un secondo. Il tempo di una firma.

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