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Dopo il processo Desirée: omicidi di donne che hanno segnato Roma, dati e profili

Il processo contro i 4 assassini della ragazza uccisa a San Lorenzo, ci porta alla memoria omicidi che hanno sconvolto la Capitale

Il processo che si è svolto ieri, 27 gennaio, per il delitto di Desiré Mariottini, stuprata e uccisa da 4 persone nel 2018, a San Lorenzo, ci porta alla memoria altri casi di omicidio estremi e raccapriccianti della provincia di Roma e del Lazio negli ultimi anni.

Tra i casi che più hanno impressionato l’opinione pubblica e scatenato dibattiti c’è l’omicidio di Pamela Mastropietro 18enne di Roma, uccisa e fatta a pezzi a Macerata dal nigeriano Innocent Oseghale. La vittima è stata stordita da cocaina, violentata e uccisa a coltellate il 29 gennaio 2018. La ragazza si era allontanata dalla comunità di recupero per tossicodipendenti “Pars” dove era ospite, per andare a cercare stupefacenti, forniti poi da quello che sarà il suo aguzzino. La ragazza verrà ritrovata in pezzi nelle stesse valigie che portò con se. L’efferatezza dell’omicidio, le modalità macabre con cui si sbarazzò del cadavere sconvolsero il paese. Ma anche la fragilità di una ragazza inquieta, minuta, con disturbi di personalità. Le esequie della vittima romana riposano oggi nel cimitero del Verano.

Nella capitale viene ricordata anche con immenso cordoglio la morte di Sara di Pietrantonio 22 anni, tramortita e data alle fiamme il 29 maggio 2016 dall’ex fidanzato, Vincenzo Paduano, in via della Magliana, alla periferia di Roma. La pena è stata aggravata per stalking in quanto il reato di omicidio non include anche la persecuzione subita dalla giovane. La Corte, riconoscendo lo stalking come reato indipendente, ha compiuto un passo storico significativo nel processo di penalizzazione di questa pratica criminale che logora e terrorizza. Paduano, condannato all’ergastolo, confessò di averla uccisa per gelosia.

Parliamo di questi due casi perché hanno coinvolto emotivamente lettori e opinione pubblica, ma sono ancora tanti e sempre troppi i casi di omicidio di genere e/o familiari come quello di Martina e Alessia Capasso, 14 e 7 anni, uccise dal papà dopo aver sparato alla moglie nella “Strage di Cisterna”: l’uomo non rassegnava alla rottura con la ex moglie che viveva separata da lui con le due figlie.

E ancora Maria Rusu, 23 anni, ragazza romena uccisa a colpi di pistola sulla via Ardeatina dall’ex fidanzato che non accettava la fine della relazione.

I dati

Gli omicidi volontari di donne nel 2018, secondo i dati Istat sono stati 133, cioè lo 0,43 su 100mila donne. Malgrado sia difficile fare comparazioni tra nazioni diverse, si tratta di cifre contenute rispetto agli altri paesi europei. Le ultime indagini del 2017 riferivano che in Italia nel suddetto anno, vi era stato un numero di omicidi in calo, ma con una crescita di vittime di genere femminile. Sempre nell’anno 2017, dati disponibili perché già oggetto di studio, il maggior numero di delitti con vittime di sesso femminile erano avvenuti in Lettonia e Lituania, nel nord est dell’Europa. Dunque in generale in Italia, peggiorano le condizioni femminili, mentre migliorano quelle maschili, nonostante i numeri totali ci informino di più uomini di sesso maschile uccisi in assoluto.

I profili psicologici

i due omicidi che abbiamo presentato ci parlano di due vicende personali, sociali e giuridiche molto diverse, la prima di una ragazza che viene violentata e barbaramente uccisa da un uomo appena conosciuto, che spartisce per qualche minuto con lei droga e degrado, due persone che non sono integrate nella società a causa della tossicodipendenza e dell’essere, nel caso dell’omicida, un immigrato irregolare. In questo caso poi, la cultura di provenienza è anche differenza nel suo modo di concepire e relazionarsi con l’archetipo del femminile.

Nel secondo caso invece si tratta di un omicidio in cui vittima e assassino hanno avuto una relazione sentimentale e la cui rottura ha comportato uno scompenso abbandonico nella persona che è stata lasciata. Ma la fine, purtroppo, è la stessa, e riguarda una donna che non riesce a difendersi o intercettare le intenzioni di un uomo che approfitta della propria forza fisica per toglierle la vita.

I fattori individuali

I casi in cui gli uomini uccidono le donne per un rifiuto sessuale, perché non accettano la fine di una relazione, perché soffrono di gelosia, hanno tutti in comune un baratro di insicurezza e disperazione profonda. Il partner o ex “arriva a uccidere quando sente di perdere il controllo sulla persona di riferimento”, spiega Anna Costanza Baldry docente di psicologia giuridica e investigativa. Su qualcosa, più che su qualcuno che ritiene per se stesso vitale, cioè quella persona che presto, paradossalmente, ma non insensatamente, ucciderà. Ucciderla appare come un modo simbolico e infantile (nel senso clinico) di non perderla, distruggerla anche per non dover accettare la propria sconfitta. Ricordiamo che quando siamo neonati o molto piccoli, piangiamo fino a soffocare se veniamo abbandonati senza una figura di accudimento, perché perderla significa per noi perdere la nostra stessa vita, letteralmente, morire di fame e di freddo senza latte e calore, cibo e riconoscimento. Queste esperienze di terrore del rifiuto ormai irrazionali, restano vive in noi da adulti, pur inconsapevolmente.

I fattori sociali 

Secondo molti studiosi, però, questi delitti sono anche il sintomo sociale di un patriarcato agli sgoccioli, di ruoli messi in discussione dal progressivo sgretolarsi di figure familiari e di genere nettamente riconoscibili. Insomma, non si accetta, ad un livello collettivo-antropologico che la donna acquisti nuove autonomie, possibilità decisionali lavorative e familiari. Non si tratterebbe, visti anche i numeri in crescita, di delitti “passionali” o nei quali l’esperienza dell’individuo è la più rilevante, ma di rigurgiti di un dominio maschile che non sa come fronteggiare le nuove libertà e autonomie femminili. Un altro elemento, legato in modo complesso a quello dell’emancipazione femminile, è quello delle “relazioni liquide”, dove i sentimenti e la fiducia sono labili, la promessa di complicità è debole e la durata effimera. L’intreccio di questi fattori così complessi, al contempo emotivi e sociali, si esprimono così in maniera letale.

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